Recensioni
Clinical versus statistical prediction
Clinical versus statistical prediction
Paul E. Meehl
Clinical versus statistical prediction
EPBM – Eco Point Books & Media, 2013, Pp. XI+149
$ 49.95 (Paperback)
È un’opera meritoria l’aver ripubblicato questo importante classico della letteratura psicologica apparso nel 1954 (edito dalla University of Minnesota Press) molto citato ancora oggi, ma troppo spesso poco compreso e/o citato a sproposito. Tra l’edizione originaria e questa del 2013 si è interposta la ripubblicazione ad opera dell’editore Jason Aronson nel 1996 (testo oggi introvabile) a cui Meehl appose una prefazione che qui è riportata integralmente. Ed è proprio iniziando a leggere questa prefazione che ci si rende conto del valore del testo e della necessità di inquadrarlo nuovamente in modo corretto e completo. Il manoscritto di Meehl fu inizialmente rifiutato da diversi editori ma, una volta pubblicato, ebbe un grande successo di pubblico: ne vennero vendute 13.200 copie ma, ciò che più interessa, innescò un dibattito importante e pose le basi per un confronto serio tra l’orientamento clinico e l’orientamento attuariale. Un dibattito che è ancora oggi vivo e soprattutto “presente” in ogni applicazione della psicologia.
Il volume è composto da dieci capitoli, una bibliografia (naturalmente datata, ma ricca di interessanti riferimenti), e un indice analitico. Il primo capitolo inquadra il problema nella sua essenza e permette al lettore di capire molto bene, fin dall’inizio, di cosa si vuole trattare. Passando attraverso alcune specificazioni e distinzioni, si giunge al cuore del lavoro, lì ove Meehl riflette sul ruolo del clinico ed esamina criticamente l’opera di Sarbin, fino ad abbracciare il tema della ricostruzione nell’attività clinica e dell’intuizione nella valutazione e nella comprensione del soggetto. È distinta l’opera di raccolta dei dati da quella dell’integrazione degli stessi e dalle modalità, infine, di dare un significato a ciò che è emerso, considerando ogni metodo di rilevazione: test, colloqui, studio della storia di vita, indici comportamentali, check list, e osservazioni globali. Ognuno dei due approcci è caratterizzato nei suoi aspetti costruttivi e nei suoi limiti, ponendosi di volta in volta nell’ottica di chi difende e di chi critica ciascuno dei metodi. Ma – si chiede l’autore – quali sono le differenze reali e sostanziali, e quali quelle soltanto apparenti o, comunque, trascurabili? Cosa nasconde la contrapposizione tra gli approcci matematici, o meccanici, e ciò che è definito “intuizione clinica”? In ogni caso è fuori discussione che il risultato dello psicologo al lavoro con il suo interlocutore dipenderà in modo massiccio da quale ottica egli intende abbracciare. Meehl insiste giustamente sulla necessità di poter gestire delle tecniche che siano applicabili al caso singolo, cioè applicabili alla tipica situazione del clinico con il suo paziente: da tale punto di vista, lungi dall’essere un lavoro “astratto” il contributo dell’autore è sempre fortemente legato alla realtà empirica.
Tonando alla prefazione scritta da Meehl nel 1996, l’autore si stupisce delle incomprensioni che ha suscitato il suo testo e chiarisce alcuni punti di rilevanza, ad esempio criticando gli psicologi che hanno letto il suo libro come un supporto all’orientamento testistico – opposto alla valutazione psicologica per mezzo del colloquio – e asserendo che se dovesse diagnosticare un soggetto scegliendo tra applicare l’MMPI oppure condurre un esame dello stato mentale tramite intervista, opterebbe sicuramente per la seconda scelta. In realtà, con il suo lavoro egli ha inteso offrire un quadro neutrale dei pregi e dei limiti di ciascuno dei due orientamenti: il giudizio clinico e soggettivo, e l’orientamento attuariale o meccanico. A riprova di ciò egli dichiara che, esaminando con cura i capitoli del suo libro, almeno quattro di essi risultano essere del tutto neutrali rispetto alla questione, mentre tre sono a favore dell’orientamento clinico e due di quello statistico. Uno dei capitoli finali, l’ottavo, è chiaramente un esame dei pro e dei contro delle due metodologie. Meehl si difende anche dall’accusa di essere stato visto come uno psicologo da biblioteca, oppure da laboratorio, sottolineando la sua esperienza clinica e anche la sua formazione personale: infatti, egli è stato in analisi e ha effettuato le supervisioni cliniche con un allievo di Sandor Rado. Non solo: si è occupato estesamente di tecniche proiettive – TAT e Rorschach – partecipando anche ai primi seminari che negli USA furono condotti sul Rorschach da Beck. Rivendicando, dunque, il suo interesse verso la psicologia dinamica e la psicoanalisi, Meehl critica anche chi vede in Skinner un fautore dell’approccio attuariale, concludendo con una riflessione sulle difficoltà per uno psicologo come lui, che si muove ai confini di aree diverse, di far comprendere il proprio punto di vista, evitando strumentalizzazioni.
Chi volesse conoscere l’ampia opera scientifica di Paul E. Meehl (1920-2003) può consultare il sito web: http://www.tc.umn.edu/~pemeehl/ curato e aggiornato da Leslie J. Yonce la cuia attiva collaborazione ha permesso anche la ripubblicazione di Clinical versus Statistical Prediction.