QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 47 - maggio 2017

Hogrefe editore
Archivio riviste

Rassegna stampa

Rassegna stampa #47

Rassegna stampa #47

Big Five e dipendenza da internet in un campione di adolescenti

Così come l’uso di internet è rapidamente cresciuto di anno in anno, anche la dipendenza da questo negli adolescenti è diventata un serio problema per la salute pubblica di tutto il mondo. La dipendenza da internet (IA) può essere definita come l’incapacità di controllare il proprio uso di internet che conduce a difficoltà psicologiche, sociali, scolastiche/lavorative nella vita di una persona. Si tratta di un disturbo che si distingue dalla sola quantità di tempo che la gente spende su internet o da altre vulnerabilità psicologiche come quelle legate all’abuso di una sostanza. Ricerche recenti hanno scoperto che gli adolescenti con dipendenza da internet sono legati ad una varietà di outcome maladattivi, che includono problemi di salute fisica, fallimenti accademici e problemi di natura emotiva e comportamentale. Pertanto è importante identificare i fattori di rischio e i meccanismi che negli adolescenti possono accrescere questo tipo di dipendenza. In questo studio è stata presa in esame l’unica associazione tra i cinque grandi tratti di personalità (del modello Big Five) e la dipendenza da internet in un campione di 998 adolescenti, così come il ruolo di mediazione dello stile di coping (con focus sulle emozioni o sul problema) che sottende queste relazioni. Dopo aver controllato le variabili demografiche è stato scoperto che l’amicalità e la coscienziosità hanno un’associazione negativa con IA; mentre l’estroversione, la stabilità emotiva e l’apertura all’esperienza sono stati associati positivamente all’IA. Inoltre, è stato scoperto che la coscienziosità ha un impatto indiretto sull’IA attraverso una diminuzione della capacità di affrontare emozioni; mentre l’estroversione, la stabilità emotiva e l’apertura all’esperienza hanno una ripercussione indiretta sull’IA attraverso una maggiore capacità di affrontare le emozioni. In contrasto, uno stile di coping focalizzato sul problema non ha alcun ruolo di mediazione. Questi risultati suggeriscono che uno stile di coping basato sulle emozioni può, in parte, rappresentare l’associazione tra i cinque tratti di personalità del modello Big Five e la dipendenza da internet negli adolescenti.

Zhou, Y., Li, D., Li, X., Wang, Y., & Zhao, L. (2017). Big five personality and adolescent Internet addiction: The mediating role of coping style. Addictive Behaviors, 64, 42-48. 

 

Child-to-Parent Violence (CPV): il ruolo dell’esposizione alla violenza e le sue relazioni con i processi socio-cognitivi

La ricerca sulla violenza domestica si è tradizionalmente focalizzata sia sulla violenza da parte del partner, sia sull’abuso genitore-figlio. Tuttavia, esiste un altro tipo di violenza entro le mura domestiche con un numero crescente di casi nell’ultimo decennio dove la violenza viene esercitata dai figli (bambini o adolescenti) nei confronti dei genitori, che è conosciuta come Child-to-Parent Violence (CPV). Questo sottotipo di violenza domestica viene definita da Cottrell (2000) come “qualsiasi atto di un bambino che vuole provocare un danno fisico, psicologico, o finanziario per guadagnare potere e controllo sul genitore” e come le altre forme di violenza familiare, le vittime tendono a nascondere l'abuso. Infatti, i genitori non sono disposti a segnalare l'abuso dei loro bambini cosa che aumenta la probabilità di sottovalutare questo fenomeno in termini di numeri nei rapporti ufficiali. La ricerca suggerisce che la CPV è correlata ad una precedente storia di violenza all’interno dell’ambiente familiare. Questo studio si è proposto di esplorare l’esposizione alla violenza in diversi contesti (scuola, comunità, casa) e il rapporto con alcune variabili dell’elaborazione socio-cognitivo (percezione sociale ostile, impulsività, capacità di anticipare le conseguenze dei comportamenti sociali e di scegliere i mezzi più appropriati per raggiungere gli obiettivi dei comportamenti sociali) in un gruppo di minori che hanno esercitato violenza sui propri genitori. Inoltre è stato anche esaminato come differiscono questi da altri tipologie di giovani offender e giovani non-offender. Il campione includeva 90 adolescenti spagnoli, suddivisi in tre gruppi; il primo gruppo era composto da giovani che erano stati segnalati dai loro genitori per il loro comportamento violento; il secondo da minori che avevano commesso altri tipi di reati ed infine il terzo da trenta adolescenti che non avevano commesso alcun crimine. I giovani hanno risposto alle misure di esposizione alla violenza, alla percezione della critica/rifiuto da parte dei genitori, alla percezione sociale ostile e alle abilità di problem solving sociale. I risultati hanno rivelato che i minori che hanno abusato dei loro genitori hanno riferito livelli più elevati di esposizione alla violenza in casa rispetto agli altri gruppi. Inoltre, l'esposizione alla violenza in casa era significativamente correlata alla percezione sociale ostile degli adolescenti nei casi di CPV. Inoltre sono state discusse le implicazioni per la prevenzione e il trattamento.

Contreras, L., & del Carmen Cano, M. (2016). Child-to-parent violence: the role of exposure to violence and its relationship to social-cognitive processing. The European Journal of Psychology Applied to Legal Context, 8(2), 43-50. 

 

La terapia cognitivo-comportamentale guidata dal genitore (GPD-CBT) per l'ansia infantile: predittori della risposta al trattamento

I disturbi d’ansia dell'infanzia sono comuni e influenzano negativamente un sano sviluppo. In particolare, sono associati a difficoltà persistenti e presentano un rischio per ulteriori disturbi psicologici e avversità nella vita adulta. C'è un sostegno costante per l'uso della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) nel trattamento dei disturbi d'ansia, tuttavia una grande percentuale di bambini (circa il 40%) non si riprende dopo questo trattamento. La Guided Parent-Delivered CBT (GPD-CBT) è una forma di CBT a bassa intensità che richiede un minor contatto terapeutico e meno risorse rispetto alle forme standard di CBT per i disturbi d'ansia dell'infanzia. Questo approccio implica che i genitori siano guidati nell'implementazione delle strategie di CBT nella vita quotidiana del loro bambino ed è stato dimostrato essere efficace per i disturbi d'ansia nei bambini con risultati simili a quelli trovati da CBT più intensi forniti faccia a faccia con bambini e genitori. Pertanto la terapia cognitivo-comportamentale guidata dal genitore (GPD-CBT) è un trattamento breve ed efficace per i disturbi d'ansia infantile, ma non tutti i bambini rispondono favorevolmente. L’obiettivo della seguente ricerca è stato quello di esaminare i predittori della risposta alla GPD-CBT. In questo studio, i genitori di 125 bambini (7-12 anni) con disturbo d'ansia hanno ricevuto GPD-CBT per 2,6 o 5,3 ore. Il recupero è stato misurato sia dopo il trattamento, sia con un follow-up dopo sei mesi. I bambini più piccoli e quelli con disturbo d'ansia generalizzato primario (DAG) sono migliorati ulteriormente subito dopo il trattamento, mentre i bambini più grandi e quelli senza DAG primario hanno avuto risultati migliori a sei mesi dopo il trattamento. Inoltre, solo una piccola parte dei bambini assegnati alla condizione 2,6 ore ha recuperato nel post-trattamento rispetto a quelli assegnati all'intervento di 5,2 ore, mentre entrambi i gruppi non differivano in maniera evidente nel successivo follow up. Pertanto l'individuazione dei predittori dei risultati di trattamento a breve e a lungo termine può guidare la decisione del percorso da intraprendere a seguito di questo approccio CBT a bassa intensità.

Thirlwall, K., Cooper, P., & Creswell, C. (2017). Guided parent-delivered cognitive behavioral therapy for childhood anxiety: Predictors of treatment response. Journal of Anxiety Disorders, 45, 43-48.

 

Relazione tra richieste lavorative, impegno, burnout, soddisfazione di vita, sintomi depressivi e salute

Ricerche recenti hanno mostrato che l’impegno lavorativo e i sintomi del burnout sono associati negativamente e potrebbero promuovere o ostacolare la performance lavorativa, l’impegno organizzativo e il benessere. In questo studio sono state esaminate le associazioni interdipendenti tra l’impegno a lavoro e il burnout, la soddisfazione di vita e i sintomi depressivi, le esigenze lavorative (come il carico di lavoro), le risorse (leadership, auto-efficacia e resilienza) e le relazioni con gli outcome della salute lavorativa (recupero, numero di diagnosi di salute mentale, workaholism). Questa ricerca fa parte di uno studio sulla salute lavorativa in cui 1415 impiegati (586 uomini e 829 donne) sono stati seguiti nell’arco di due anni (2011-2012). I partecipanti hanno compilato un questionario sul loro impegno lavorativo, sui sintomi del burnout, sul benessere, sulle risorse ed esigenze sia personali, sia legate all’ambiente di lavoro, ed infine, sulla salute lavorativa. I risultati hanno mostrato che esistono diverse relazioni, in particolare tra: il coinvolgimento a lavoro e i sintomi depressivi (negativa); il coinvolgimento lavorativo e la soddisfazione di vita (positiva); tra sintomi depressivi e impegno lavorativo (negativa) e tra sintomi depressivi e burnout (positiva). L’impegno a lavoro è anche negativamente associato con il burnout lavorativo e i sintomi depressivi sono negativamente associati con la soddisfazione di vita. Inoltre, la leadership è stata associata positivamente con il coinvolgimento lavorativo, che, a sua volta, è positivamente associato con un’elevata soddisfazione di vita e un maggiore recupero, mentre è associata negativamente con il burnout e i sintomi depressivi. Un carico di lavoro eccessivo, a sua volta, è stato associato positivamente al burnout e ai sintomi depressivi, i quali, a loro volta, sono stati positivamente associati ad una crescita delle diagnosi di salute mentale, mentre sono negativamente associati al recupero.

Upadyaya, K., Vartiainen, M., & Salmela-Aro, K. (2016). From job demands and resources to work engagement, burnout, life satisfaction, depressive symptoms, and occupational health. Burnout Research, 3(4), 101-108.