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numero 64 - febbraio 2019

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Esperienze

La riflessione di uno psicologo scolastico

La riflessione di uno psicologo scolastico

Sono uno dei tanti psicologi che esercitano la professione nelle scuole secondarie dell’area fiorentina. Chi esercita in questi istituti sa come esse possano essere considerate una sorta di terra di frontiera. Ormai non sono molti i lavori che riservano un alto grado di imprevedibilità quotidiana. Chi lavora con gli adolescenti tuttavia non ha molto familiare il significato del termine “routine” o “confort zone”.
Lavorare con i ragazzi delle scuole superiori (o secondarie di secondo grado se amiamo i virtuosismi in lingua burocratese) richiede anzitutto di aver fatto pace con una parte di noi tipicamente rumorosa e non sempre risolta: l’adolescenza.
Molti di noi adulti guardano questa “new generation” con due occhiali tipicamente sbagliati:

  • Gli occhiali “nostalgici” che paragonano gli adolescenti attuali a quelli degli anni che precedevano il 2000. Sono coloro che nostalgicamente ripensano alle lotte studentesche e vedono i ragazzi attuali come privi di iniziativa e senso critico. Che paragonano i “trap boy” ai Nirvana e si lamentano di come ai loro tempi era tutto diverso – probabilmente scordando che quella generazione di ribelli una volta indossata la cravatta non ha portato avanti con poi così tanta convinzione gli ideali rivoluzionari.
  • C’è invece chi indossa gli occhiali dell’adulto per giudicare il ragazzo. Anche in questo caso le lenti sono piuttosto appannate. Stiamo parlando di due fasi della vita estremamente differenti che hanno bisogni, desideri ed interessi molto diversi (per non dire talvolta opposti). Il principio di “piacere” che talvolta smuove i ragazzi molto spesso cozza con quello di “prudenza” più tipico degli adulti. E ciò non consente mettere facilmente a confronto due dimensioni tanto antitetiche.

Uno dei compiti più complessi dello psicologo scolastico è appunto quello di mettere in relazione due universi paralleli che faticano ad incontrarsi. Da una relazione positiva e virtuosamente in contrapposizione queste differenti entità trarranno forza e maturità. Al contrario, da un conflitto sterile e da una scarsa comunicazione avremo adulti esasperati e adolescenti fuori controllo.
Le armi a diposizione dello psicologo non sono molte, ma quelle poche sono tutt’altro che spuntate. Mi riferisco ai servizi offerti (purtroppo) non in tutte le scuole:

  • Sportello d’ascolto per i ragazzi. Sarebbe un errore confonderlo con un trattamento psicoterapeutico. In questo spazio i ragazzi vengono accolti, ascoltati, non giudicati. Attraverso l'empatia lo psicologo può agire positivamente sulla mente del ragazzo e consentire che vengano attivate le strategie personali di coping. La rielaborazione attraverso la relazione (grazie ad un ascolto empatico e non giudicante) consente un’efficace attribuzione di significato delle vicende e delle risonanze emotive.
  • Supporto alla genitorialità. Questa tipologia di aiuto si può esplicare con incontri di gruppo la sera o tramite incontri singoli presso un vero e proprio sportello per i genitori.
  • Peer education (alla lettera "educazione tra pari"). È un metodo d’intervento molto utile per quanto riguarda la promozione della salute e la prevenzione dei comportamenti a rischio. I ragazzi più che ascoltare gli adulti si affidano ai loro coetanei (questo non è certo un mistero!). Selezionare quindi un gruppo di ragazzi che possano essere dei punti di riferimento virtuosi è forse lo strumento più potente che noi psicologi abbiamo a disposizione. I nostri peer educator dovranno essere seguiti nel loro percorso, ma saranno un tramite eccellente – un autentico ponte – fra la cultura adulta e quella adolescente.

Nonostante tuttavia tutti gli sforzi per aiutare i nostri ragazzi non possiamo fare a meno di notare che il contesto attuale non facilita uno sviluppo virtuoso del mondo adolescente.  
Sempre più ragazzi vengono da me, sani, privi di psicopatologie, ma spersi.
Non saprei come altro definirli se non spersi nella vita – nell’universo! Spersi in un mondo noto, ma spersi.
Molti “spersi” fanno lavori o percorsi di studio che gli piacciono così e così, non hanno potuto o voluto scegliere. Non cercano altro e proseguono per inerzia, non felici, ma neanche infelici. Proseguono e basta…  
Anche diversi adulti mi raccontano di un “vuoto esistenziale” e anche loro talvolta mi sembra appartengano alla grande famiglia degli spersi. Non mi piace fare lo psicologo a tutti i costi, e mi va di ragionare di pancia, un po’ come quando si osserva un dipinto che non piace … e non si capisce il perché!
Poi giungi alla conclusione che è fatto bene, ma non ti comunica un bel niente!
Uno “sperso” è un bel quadro, ma gli manca qualcosa. Non mi riferisco a patologie di sorta, sto parlando di quella scintilla vitale che si vede negli occhi di coloro che passo dopo passo hanno raggiunto i loro obiettivi, i loro sogni!
I sogni si frappongono al concetto di inerzia, il sogno ci fa vedere lontano, l’inerzia naviga a vista. Il sogno sprigiona l’energia di martello che sfonda i muri, l’inerzia a confronto è un tagliaunghie.
Ci sono molte componenti che portano ad una graduale mancanza di sogni nella nostra vita, ma a mio avviso quello che maggiormente contribuisce a questa anestesia emotiva è proprio il basso livello di consapevolezza emotiva. In altre parole se si percepiscono con poca chiarezza le proprie emozioni (ciò che ci rende felici o tristi) come posso sperare di avere dei sogni?
Coloro che si trovano emotivamente anestetizzati non percepiscono cosa li rende felici o cosa non piace loro. Per fare un esempio: Michele prova repulsione verso le persone e di fatto avrebbe una sana attitudine a fare il pastore in cima alla Calvana e invece di stare fra i monti lavora in una scuola in qualità di professore. Probabilmente è infelice… nonché una fucina di nevrosi per i suoi studenti.
Sbagliare strada” nella vita spesso è determinato proprio dallo smarrimento della nostra bussola interiore, da una sorta di anestesia emotiva insomma. Quando di fatto non siamo in contatto con noi stessi sarà facile prendere la via che ci suggerisce il contesto sociale, piuttosto che le nostre attitudini!
Pensate alla materia scolastica che più vi fa schifo; fare una professione che non è in linea con le proprie attitudini è un po’ come studiarla per tutta la vita! Personalmente se io pensassi di studiare la matematica per tutta la vita mi sentirei come se sfidassi Charles Bukowski ad una gara di imprecazioni, mi sentirei inutile nell’universo.
Chiedo a molti ragazzi cosa vorrebbero fare nella loro vita, e loro mi rispondono “i soldi”. “Come vorresti farli?”. La risposta più comune è “Boh”. Le spinte sociali fanno portare i risvoltini ai pantaloni a dicembre (ipotermie della caviglia in vista!), ci fanno comprare un SUV anche se viviamo nel centro e trovare un parcheggio è un’impresa omerica, ci fanno pensare che essere il direttore è figo anche se la mia attitudine sociale è quella di contemplare la natura in cima alla Calvana, ci fanno pensare che comandare è meglio che far sesso, anche se molte persone avrebbero un’attitudine per la quale farebbero meno danni nel loro letto che nei loro uffici (e probabilmente si divertirebbero anche di più).
Oggi sembra che l’emozione più percepita e più di moda sia la vergogna e la paura dell’altrui giudizio… ma porca miseria! Proprio quelle? Intendiamoci, vergognarsi di girare con i gioielli di famiglia al vento in mezzo di strada è funzionale alla qualità della nostra vita (e della nostra fedina penale), ma se fra tutte è l’emozione preponderante la situazione si complica non di poco.
Non c’è niente di strano – se non abbiamo la capacità di ascoltare noi stessi probabilmente ascolteremo troppo gli altri e così facendo sarà molto difficile essere in sintonia con noi stessi (egosintonici appunto). Ci accontenteremo di quella che Henry David Thoreau definisce una “quieta disperazione”, che altro non è che un modo per essere lontani da noi stessi, dai nostri sogni, dalle nostre attitudini, dalle nostre inclinazioni.

Molti uomini hanno vita di quieta disperazione: non vi rassegnate a questo, ribellatevi, non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi intorno. Osate cambiare, cercate nuove strade. (Henry David Thoreau)