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numero 47 - maggio 2017

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I nostri test

La capacità di stare a giudizio in Italia: la FIT-R

La capacità di stare a giudizio in Italia: la FIT-R

In concomitanza dell'uscita dell'edizione italiana della Fitness Interview Test-Revised (FIT-R: Intervista strutturata per la valutazione della capacità a stare in giudizio), pubblichiamo uno scritto di Franco Scarpa, estratto dal volume di Ronald Roesch, Patricia Zapf e Derek Eaves, e curato da Silvio Ciappi e Benedetta Vittoria.

L’idoneità a stare in giudizio, o capacità processuale, rappresenta l’elemento cardine che deve caratterizzare le condizioni individuali, fisiche e psichiche, senza il quale nessuna persona può essere sottoposta alle varie fasi di un procedimento penale. Essa consiste nella capacità di intendere e di volere riferita al procedimento in corso, e non relativa al momento del reato, e corrisponde, in concreto, all’idoneità ad esercitare, all’interno del processo, i diritti e le facoltà ricollegati all’assunzione della qualità di imputato, nonché di indagato nella fase procedimentale. Tale assunto deriva dalla storica, e garantista, definizione contenuta nel Codice Penale, ma anche da una consolidata giurisprudenza, per cui nessuna persona può essere sottoposta ad un giudizio penale se non è capace di comprendere i fatti e gli accadimenti tipici del rituale processuale e di esercitare di conseguenza in maniera libera, e volontariamente, la propria azione di difesa.

L’attenzione a tale tema appare, storicamente nel nostro sistema, non particolarmente sentita nella dinamica del procedimento penale per quanto sia uno dei quesiti classici che sono posti al consulente in fase di perizia. Invero, ogni affidamento di perizia dovrebbe comprendere il quesito: “dica il perito se il periziando è in grado di partecipare coscientemente al procedimento giudiziario”; oppure “dica il perito se l’imputato (o l’indagato) sia affetto da infermità di mente tale da renderlo incapace di partecipare al processo”. Non sempre tale quesito viene posto e nella letteratura psichiatrica, e psichiatrico-forense, non è frequente riscontrare lavori attinenti tale tema. Mancano inoltre criteri o linee guida che contengano indicatori ed elementi, standardizzati e condivisi, per una valutazione di tale funzione.

Una sentenza della Corte Costituzionale statuisce come la capacità processuale debba essere desunta non solo dalla mera presenza di una patologia psichiatrica e dalla funzione di coscienza, cioè dalla capacità della persona di rendersi conto di quanto accade intorno a lei, ma anche e soprattutto dalla possibilità di essere “parte attiva” nella vicenda processuale e di esprimersi, esercitando il suo diritto di autodifesa (sen. Corte Cost. n. 39 del 2004). [...]

La necessità di accertare preliminarmente la sussistenza di un’infermità o malattia mentale obbliga comunque il perito ad effettuare una prima fase prioritariamente mirata all’accertamento diagnostico, utilizzando gli strumenti più opportuni ed appropriati di competenza dello psichiatra ed avvalendosi delle eventuali consulenze sia mediche che psicologiche. Solo successivamente egli potrà procedere alla fase di accertamento specifico, mirata alla verifica della eventuale compromissione nel periziando della funzione di partecipazione utile al procedimento. 

Rispetto al nostro sistema, nel quale non si riscontrano criteri specifici per l’accertamento di tale funzione, in altri Paesi sono costantemente adottate prassi con criteri ed indicazioni standard mirate a stabilire la capacità di partecipare al procedimento. Negli USA, la “sentenza Dusky” emanata nel 1960 aprì un dibattito intenso e serrato dal quale sono scaturiti i cosiddetti “standard” o criteri Dusky, che stabilirono la necessità di accertare nell’imputato sottoposto a giudizio la presenza di una “sufficiente abilità di consultarsi con il proprio difensore con un ragionevole grado di consapevolezza e la capacità di capire il significato razionale e fattuale del procedimento a cui è sottoposto”. Dopo ulteriori sentenze, questi iniziali criteri furono arricchiti dalla necessità di accertare che l’imputato debba possedere anche la capacità di “partecipare alla propria difesa”. In sintesi, i criteri Dusky si sostanziano nella necessità di verificare che l’imputato, per potere utilmente partecipare al procedimento, debba essere dotato di requisiti chiave rappresentati dalla “capacità di interagire consapevolmente con il proprio avvocato, partecipando alla propria difesa, e dalla capacità di comprendere razionalmente la natura, le circostanze e le conseguenze del procedimento a cui si è sottoposti”. [...]

La necessità di definire con accuratezza tali fattori, dal carattere composito in quanto devono coinvolgere ed integrare molteplici funzioni di cognizione ed intellettive, di memoria, di strategia, ha spinto alcuni psichiatri forensi a elaborare strumenti di ausilio che affianchino il giudizio clinico diagnostico, nell’ambito della presenza di un’infermità o malattia mentale. [...]  È comunque da più parti sottolineato come ogni strumento dovrebbe essere usato in stretta correlazione con l’indagine clinica, e mai in sostituzione della stessa (Ciccone, 2007). Inoltre i risultati dei test, come di ogni altra indagine psicometrica standardizzata, devono sempre essere considerati e discussi alla luce di tutti gli altri dati ottenuti e dalle osservazioni cliniche (Rogers e Johansson-Love, 2009). Proprio in considerazione di tali preziose e sagge indicazioni, ho accettato di mettere in prova la FIT-R su un modesto campione di pazienti nei quali mi sono imbattuto nel corso della mia attività di consulente psichiatrico in ambito peritale e nella mia attività clinica in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG). In quest’ultima ho utilizzato inoltre una casistica tratta dai soggetti inviati in OPG per “accertamento delle condizioni psichiche” delle persone detenute, in attesa di giudizio, funzione specifica alla quale tali strutture sono state deputate, fino alla più recente normativa che ne stabilisce il definitivo superamento e chiusura.

 

Casi di applicazione della FIT-R in Italia

La scelta di applicare la FIT-R prevalentemente a pazienti psichiatrici è stata determinata anche dalla necessità di verificare con maggiore chiarezza, analogamente al sistema anglosassone, che la presenza di infermità o malattia mentale è necessaria ed obbligatoria non solo per definire la non capacità, ma anche come strumento di screening per valutare la capacità della persona di partecipare al processo. In tal senso descriverò brevemente i soggetti cui è stata somministrata la FIT-R relativamente alle caratteristiche cliniche, alla tipologia di reato, alla fase processuale nella quale al momento della somministrazione erano coinvolti, con l’eventuale esito successivo.

Caso 1. A.F.: età anni 35, livello scolastico di scuola media superiore, professione operaio, stato civile celibe. Imputato per reato di incendio e minacce nei confronti del padre. Diagnosi di Disturbo di Personalità Paranoide con episodio delirante in abuso di sostanze. A.F. viene inviato in OPG nel luglio 2014 per misura di sicurezza di Casa di Cura e Custodia (CCC)1 applicata dal giudice delle indagini preliminari a seguito di accertamento di parziale imputabilità e contestuale pericolosità sociale. La perizia espletata lo dichiarava incapace di partecipare al dibattimento e il magistrato, all’atto dell’applicazione di misura di sicurezza provvisoria, sospendeva anche il giudizio ex art. 71 del Codice di Procedura Penale. Dopo un adeguato periodo di cura, al momento della somministrazione della FIT-R nel marzo 2015, la valutazione che ne scaturisce è quella della presenza di un’adeguata “capacità di stare in giudizio”. Qualche deficienza si riscontra, come “possibile menomazione”, nella comprensione del significato del processo e nella consapevolezza degli esiti. La valutazione è congruente con quella del perito, che successivamente lo sottopone a nuova valutazione sia riguardo tale funzione, che riguardo l’eventuale persistenza della pericolosità sociale. Dopo tale valutazione A.F. partecipa ad udienze e non manifesta alcuna difficoltà nel seguire le fasi del suo procedimento. Il miglioramento accertato si traduce anche nella capacità di aderire al trattamento terapeutico, sia interno alla struttura OPG che nella condivisione del progetto di continuità terapeutica da attuare tramite invio in comunità all’atto della dimissione. Di conseguenza, dopo un anno di misura di sicurezza, A.F. viene dimesso nel luglio 2015 per trasformazione della misura detentiva di CCC in libertà vigilata non detentiva, da attuare tramite affidamento ad una comunità terapeutica. Risulta a tutt’ora essere in tale struttura.

Caso 2. A.R.: anni 43, diagnosi di Disturbo Schizoaffettivo e Politossicodipendenza, titolo di studio licenza media inferiore, professione elettricista, reato di tentato omicidio. Entra in OPG nel novembre 2012 per misura di sicurezza provvisoria di Ospedale Psichiatrico Giudiziario (art. 206 del CP), ed inoltre, a parere del perito, mostra incapacità di partecipare al procedimento; viene quindi disposta la sospensione del giudizio in quanto viene ritenuto dal perito non in grado di partecipare al procedimento. Alla FIT-R, somministrata a due anni dall’applicazione della misura e dalla sospensione, A.R. presenta rallentamento psichico, si esprime in maniera semplice e a volte anche frammentaria, ma risponde in maniera corretta alle domande relative alle dinamiche processuali, alle vicende relative al reato commesso, ai ruoli delle varie parti che agiscono nel corso delle udienze del procedimento penale. Il giudizio di “possibile menomazione” si riscontra in quasi tutte le aree del test. Nel complesso, con qualche limitazione dovuta all’impoverimento cognitivo e al rallentamento delle funzioni psichiche, la capacità processuale appare sufficientemente conservata. Il procedimento, dopo nuova valutazione del perito incaricato dal Tribunale, riprende ma resta ancora indefinito e non ancora pronunciata la sentenza. A.R. si trova ancora internato in OPG in attesa di progetto terapeutico che possa rendere possibile la dimissione alla scadenza della misura. La sua destinazione più probabile sarà una Residenza per Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), strutture attivate a seguito del processo di chiusura degli OPG avviato con la legge 09/2012.

Caso 3. B.L.: anni 47, diagnosi di Disturbo Schizoaffettivo, titolo di studio licenza media inferiore, celibe, disoccupato; reato di minacce, resistenza a PP. UU., danneggiamento (lancia oggetti dal balcone di casa); minaccia le operatrici USL che forniscono assistenza domiciliare alla madre malata. È stato sottoposto a perizia per accertamento della capacità di intendere e volere e valutato anche ai fini della capacità processuale. Alle domande del test mostra di conoscere i principali elementi del procedimento processuale, è consapevole del reato commesso che, come da lui stesso riferito, non assume particolare gravità. Riconosce agevolmente i ruoli dei vari attori del processo. Nessuna sensibile menomazione nel complesso. È inoltre consapevole delle diverse ipotesi e possibilità connesse alla dichiarazione di capacità o meno di intendere e volere e delle conseguenti scelte che egli è tenuto a fare. Si riscontra qualche difficoltà nella effettiva partecipazione alle dinamiche processuali che appaiono peraltro, ad un soggetto con tali limitazioni, di difficile interpretazione. Il procedimento giudiziario va avanti regolarmente per quanto B.L., nel corso di un’udienza, assuma atteggiamenti protestatari e clamorosi, arrivando a contestare sia il giudice che l’avvocato difensore. Successivamente scrive una lettera al giudice, dichiarandosi pentito del suo comportamento e concedendo ancora fiducia al suo avvocato. Sottoposto di nuovo a valutazione della pericolosità sociale, dopo un anno trascorso in OPG è stato inviato in struttura terapeutica per trasformazione della misura di sicurezza di libertà vigilata, misura non detentiva, che consente nel suo caso l’obbligo di permanere nella struttura, considerata l’impossibilità di fargli riprendere la convivenza con la madre, anch’essa bisognosa di assistenza.

[...]

Dai casi esaminati, possiamo sinteticamente riassumere gli elementi che devono essere presi in considerazione nel nostro sistema per la valutazione della capacità di stare in giudizio:

  1. comprensione del procedimento giudiziario per i reati contestati;
  2. possibilità di rispondere a domande, di colloquiare e di collaborare alla propria difesa;
  3. assenza di un’infermità mentale, di deterioramento mentale, di deficit mnesici (di natura organica o meno) che inficino l’esame di realtà;
  4. capacità di critica e di giudizio non deficitarie.

 

Considerazioni e riflessioni

Ecco adesso alcune brevi considerazioni rispetto alla FIT-R e al suo utilizzo nell’ambito dei processi di valutazione della capacità di partecipare al processo, come organizzato nel nostro sistema processuale giudiziario.

  1. Alcune parti del test appaiono applicabili solo in specifici procedimenti del processo italiano laddove si prevede la presenza della Giuria Popolare (processi in Corte d’Assise o Corte d’Assise d’Appello), per cui nelle fasi più semplici dei procedimenti giudiziari le domande relative possono essere omesse nel corso della somministrazione. La scarsa conoscenza delle dinamiche di funzionamento di tali specifici procedimenti processuali rischierebbe di inficiare la valutazione della capacità individuale se non in persone dotate di cultura e di preparazione specifica, che non sempre è connessa al livello di studio. Paradossalmente, appaiono più consapevoli le persone con ripetuti precedenti penali rispetto a quelle che sono al primo procedimento.
  2. Analogo discorso può essere fatto per alcune parti del test che presuppongono una conoscenza dettagliata e specifica delle dinamiche processuali, in rapporto alle quali potrebbe ovviare, rispondendo adeguatamente, solo una persona con livello di studio elevato od una pratica del settore giudiziario. Tale aspetto fa sorgere la necessità di considerare di applicare in tali casi il principio della valutazione di un livello differenziato in ordine di gravità della funzione di consapevolezza e di adeguatezza nel procedimento giudiziario, aspetto già emerso negli USA attraverso la sentenza Godinez v. Moran, 509 U.S. 389 (1993).
  3. La sezione relativa alle informazioni che la polizia, o le forze dell’ordine che operano l’arresto od intervengono nel momento del reato, devono fornire all’imputato non è verificabile in concreto. È utile notare inoltre che, con sensibile frequenza, intercorre un  discreto lasso di tempo tra l’intervento della polizia, da cui può scaturire il procedimento penale, e l’effettivo accertamento da parte del perito per cui spesso tale parte non viene adeguatamente ricordata o riferita nel dettaglio. In aggiunta, nel caso di procedimenti scaturiti da denunce che le vittime, spesso i familiari, presentano alle forze di polizia, il contatto con queste si concretizza solo nel momento in cui viene notificato ed eseguito il provvedimento di applicazione della misura cautelare in carcere o della misura di sicurezza in OPG o Casa di Cura e Custodia. 
  4. Risulterebbe utile la somministrazione del test anche su persone in regime detentivo, con un livello culturale equivalente ad un campione di pazienti psichiatrici, allo scopo di verificare quanto la presenza di una patologia già accertata sia prioritaria e dirimente rispetto alla condizione di imputato sottoposto a procedimento giudiziario. In altre parole, sarebbe necessario definire una soglia minimale di risposta, e di adeguatezza, a partire dalla quale distinguere le menomazioni possibili, determinate da infermità e/o malattia.
  5. In linea di principio, bisogna partire dalle moderne concezioni della malattia mentale e della salute mentale, secondo le quali occorre in maniera più adeguata possibile riconoscere alla persona portatrice di disturbo mentale il diritto ad un’eguaglianza e parità di opportunità anche in relazione alla responsabilità penale. In tal senso si sono recentemente orientate proposte per attribuire alle persone con infermità mentale il diritto alla pena attraverso l’abolizione della parte del Codice Penale che prevede il deficit di imputabilità e la misura di sicurezza, se riconosciuta socialmente pericolosa. Conseguentemente, seppure la capacità di presenziare utilmente al procedimento appaia un concetto scisso dalla capacità al momento del reato, è utile considerare come i processi di malattia mentale possono prevedere tempi lunghi e fasi di ciclicità, nonché livelli di gravità che potrebbero prolungare infinitamente la sospensione del giudizio e della conseguente definizione del procedimento. Se da una lato la sospensione del procedimento, con la conseguente attuazione di un intervento di cura, garantisce il diritto alla cura, la riattivazione del procedimento dopo tempi lunghi di cura rischia di diventare successivamente un elemento di danno alla persona, nel momento in cui il procedimento riprende e comporta una condanna o una misura di sicurezza. In tal senso, occorrerebbe prevedere un livello minimale di capacità processuale da ritenere elemento sufficiente per riattivare le procedure processuali, definire la sentenza ed il relativo provvedimento, e consentire che la persona possa effettivamente riabilitarsi. Il diritto ad una ricollocazione sociale e a non restare cristallizzati in un processo indefinito/infinito può prevalere sulla eventuale necessità di raggiungere un livello adeguato compatibile. Posso contare in tal senso un’esperienza di sospensione di giudizio per un cittadino di origine argentina che è stato per oltre 18 anni in OPG per un reato di lesioni personali dopo una rissa. Solo dopo ripetute perizie disposte dal giudice ed un intervento di cura, è stato infine possibile definire che possedesse un livello minimale di comprensione e capacità processuale, pur essendo ancora presenti deliri megalomanici strutturati e persistent
  6. Un’ultima considerazione è relativa alla possibile “escalation” di applicazioni di sospensioni di giudizio: finora tale provvedimento era poco adottato, perché in mancanza di adeguate strutture disponibili ad accogliere, come prevede l’art. 72 del Codice di Procedura Penale, viene spesso applicata contestualmente la misura di sicurezza provvisoria di OPG o Casa di Cura e Custodia. Mentre finora tale misura veniva scontata nelle strutture penitenziarie degli OPG, con il deficit di efficacia terapeutica dovuta all’inadeguatezza ambientale ben nota, ed oggetto degli interventi legislativi che hanno portato alla definitiva chiusura di tali strutture, l’avvento delle strutture residenziali sanitarie (REMS) per le misure di sicurezza detentive potrebbe portare ad un incremento del numero dei provvedimenti di sospensione del giudizio e di contestuale applicazione di misura di sicurezza detentiva per pericolosità sociale. È compatibile in tal senso la sospensione del giudizio, da cui scaturisce il ricovero o un trattamento esclusivamente sanitario, con l’eventuale misura di sicurezza contestualmente applicata, nel caso dell’accertata presenza di pericolosità sociale, che prevede comunque un regime di sorveglianza e di controllo e pertanto di riduzione di efficacia del trattamento curativo? 

In effetti la nuova ri-collocazione del trattamento di soggetti infermi di mente, ed autori di reato, nelle competenze dei Dipartimenti di Salute Mentale del Sistema Sanitario Nazionale, apre nuove ed interessanti prospettive di cambiamento che si ripercuoteranno sulle prassi, sulle strategie terapeutiche, ma anche giudiziarie, per le quali è richiesto un impegno culturale ed operativo di tutti gli attori. Su tali temi sarà indispensabile un confronto e un continuo dialogo.