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numero 52 - novembre 2017

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Inclusione e benessere per tutti nei contesti educativi

Inclusione e benessere per tutti nei contesti educativi

I bambini e i giovani del XXI secolo si trovano a vivere in un contesto sociale caratterizzato da rapidi cambiamenti economici e tecnologici, nella cosiddetta "società della conoscenza", per via dell’elevata produzione e circolazione di informazioni (Ginevra, Carraro, & Zicari, 2014). Essi peraltro vivono in realtà caratterizzate da complessità ed eterogeneità, tanto che Vertovec (2007, 2010) nel riferirsi ai contesti sociali attuali utilizza il termine "super-diversità" per illustrare l’intreccio di variabili associate a nazionalità, etnia, lingua, religione, motivazioni, percorsi di migrazione, presenza di disabilità ecc. Le realtà scolastiche, da questo punto di vista, sono rappresentative dell’eterogeneità e delle complessità dei contesti sociali più ampi; pertanto nelle classi possono, seppur in misura minore, essere osservati gli stessi indici di variabilità di contesti marcatamente più estesi e numerosi e che, analogamente, vanno rispettati, considerati alla stregua di risorse e di "singolarità" (Nota, Ferrari, Sgaramella, & Soresi, 2016).

Sebbene i vantaggi di realtà scolastiche così eterogenee siano ormai noti, è ben noto agli studiosi che si occupano di inclusione scolastica che le persone con menomazione e con vulnerabilità (ad esempio con esperienze di migrazione, basso status socio-economico) sperimentano un maggior rischio di micro e macro esclusione e vittimizzazione (Foster & Wass, 2013). A riguardo, sin dagli anni ‘80 autori e ricercatori nazionali e internazionali nell’ambito della psicologia dell’inclusione hanno ampliamente denunciato che la semplice presenza fisica di studenti con disabilità e vulnerabilità nelle classi comuni non è sufficiente all’avviarsi di relazioni sociali positive con i coetanei e non garantisce l’accettazione di quelli maggiormente in difficoltà (Ostrosky, Mouzourou, Dorsey, Favazza, & Leboeuf, 2015; Nota, Ferrari, & Soresi, 2005; Soresi, 2016). A questo si aggiunge che la durata dell’inserimento, ovvero il numero di anni scolastici di permanenza di un alunno con disabilità all’interno della stessa classe, non sembra garantire relazioni soddisfacenti con compagni senza disabilità: il livello di accettazione tende, al contrario, a ridursi con il trascorrere del tempo e, in ogni caso, a rimanere basso anche dopo lunghi periodi di inserimento (DiGennaro Reed, McIntyre, Dusek, & Quintero, 2011; Nota et al., 2015). A conferma di ciò, il rischio di esclusione sociale per gli studenti con disabilità e vulnerabilità sembra essere maggiore con il crescere dell’età, tanto che nei contesti secondari e universitari si riscontra un fenomeno di sotto-rappresentazione degli studenti con disabilità (Masiello, 2015). Tale condizione viene considerata una forma di iniquità e discussa in letteratura come minority issues; essa si associa infatti a difficoltà nel senso di appartenenza, allo sperimentare modalità stereotipate di relazione, alla percezione di scarso supporto, a tempi più consistenti per la gestione della propria vita universitaria, allo scoraggiamento (Soresi, 2016). Emerge anche un problema di bias in concentrations per cui alcuni ambienti universitari tendono ad accogliere soprattutto gruppi omogenei di persone: è quanto si riscontra per esempio nei dipartimenti scientifici in cui la presenza di persone con diversità e vulnerabilità è sotto-rappresentata (Harvard University, 2015; Soresi, 2016).

Il rischio di esclusione sociale che bambini e i giovani con disabilità sperimentano può avere un notevole impatto sulla loro qualità di vita (Witten, Kearns, & Carroll, 2015). Numerosi studi infatti hanno ampiamente sottolineato la relazione tra inclusione e benessere individuale, tanto che le persone che si trovano a vivere in contesti più inclusivi riportano maggiori livelli di benessere rispetto a quelle che si trovano a sperimentare realtà competitive (Wilkinson & Pickett, 2010). In relazione a ciò, allenare le persone a cooperare, a vivere insieme, nonostante le differenze etniche, religiose, economiche, sembra costituire la sfida più importante delle realtà sociali attuali (Sennett, 2012). È importante favorire una serie di capacità e di atteggiamenti utili in realtà così complesse ed eterogenee come, ad esempio, la flessibilità, la capacità di prestare attenzione alle diversità e di valorizzarle; l’utilizzo di una forma di ‘pensiero complesso’, che comporta il guardare gli eventi da diversi punti di vista, evitando giudizi semplicistici e stereotipati, l’accettazione dell’incertezza, la creatività e il saper collaborare e confrontarsi con gli altri (Hargreaves, 2003; Olimpo, 2010; Nota, Ginevra, & Santilli, 2015; Nota et al., 2015). Per queste ragioni è necessario prevedere, soprattutto nel contesto scolastico, percorsi educativi che mirano allo sviluppo di tali capacità inclusive e che favoriscono occasioni di interazione e di riflessività sociale (West, El Mouden, & Gardner, 2011).

Una rassegna elaborata da Lindsay ed Edwards (2013) ha permesso di constatate la pubblicazione di un consistente numero di programmi di promozione degli atteggiamenti positivi e di incremento della conoscenza nei confronti della disabilità e vulnerabilità. La lunghezza di tali programmi varia da due/tre incontri a percorsi che durano un intero anno scolastico. Tutto ciò pone chiaramente in evidenza la ricchezza di suggerimenti, idee, indicazioni, utili a dare vita ad azioni educative finalizzate a promuovere relazioni positive in contesti inclusivi (Nota et al., 2015). Sono a disposizione infatti percorsi diversi che permettono di potenziare la consapevolezza dell’esistenza delle diversità, la riduzione di atteggiamenti negativi e stereotipici e l’acquisizione di capacità per dare avvio e mantenere relazioni positive e diverse con i differenti compagni. Possono inoltre essere realizzati programmi di promozione delle competenze prosociali, di atteggiamenti altruistici e attenti agli altri, a prescindere che abbiano difficoltà, disabilità, disagi, vulnerabilità ecc. (Catalano, Berglund, Ryan, Lonczak, & Hawkin, 2004; Lemos & de Minzi, 2014), così come percorsi educativi finalizzati a favorire atteggiamenti positivi e speranzosi in presenza di problemi e difficoltà che possono essere riscontrati in realtà eterogenee e complesse come quelle attuali (Nota et al., 2015).

Tra questi programmi è possibile annoverare il training Le belle azioni’messo a punto da Nota et al. (2015) per bambini della scuola dell’infanzia per promuovere comportamenti positivi come la tendenza a collaborare e aiutare i diversi compagni del gruppo classe, a mettere in evidenza i punti di forza di ciascuno e a costruire relazioni positive e attente alle differenze e alle vulnerabilità. Con bambini della scuola primaria e secondaria è possibile utilizzare il training W le differenze, W la partecipazione (Nota et al., 2015), per stimolare le capacità di mettere in evidenza le differenze che sono presenti nel gruppo classe, di evidenziare i punti di forza dei compagni e di favorire supporti e aiuti per incrementare la partecipazione scolastica di tutti i compagni, inclusi quelli con difficoltà e vulnerabilità. Infine, con studenti universitari, facendo riferimento ad attività formative "generali" da inserire nei percorsi di studio, ricordiamo il corso "Diritti umani e inclusione" realizzato nell’a.a. 2016/2017 presso l’Università di Padova. Si tratta di un corso "trasversale", a carattere interdisciplinare, per gli studenti dei corsi di laurea triennali e magistrali finalizzato a favorire una maggiore consapevolezza delle diversità presenti nel tessuto sociale, dei diritti umani, dell’importanza di investire per una società inclusiva e di come le loro professionalità future potrebbero contribuire a tutto questo (Soresi, 2016).

Per agire a vantaggio dell’inclusione, oltre agli studenti vanno coinvolti gli insegnanti, in sintonia con il documento Policy Guidelines on Inclusion in Education dell’Unesco (2005), al fine di promuovere una professionalità attenta e sensibile alle differenze individuali e culturali capace così di creare spazi in cui ogni studente possa sviluppare un senso di appartenenza, una partecipazione attiva e significativa che assicuri una educazione di qualità. É importante agire con gli insegnanti al fine di incoraggiare atteggiamenti positivi verso gli studenti con disabilità e vulnerabilità, soprattutto perché i loro atteggiamenti possono influenzare la quantità e la qualità delle interazioni e il sostegno che forniscono all’apprendimento (Nota et al., 2015). I loro atteggiamenti inoltre possono favorire discriminazioni e veicolare risposte stereotipate nei confronti di alcuni studenti, facilitare lo scarso interesse che alcuni ragazzi mostrano rispetto alla partecipazione attiva e l’abbandono scolastico, e in tal senso influenzare i livelli di benessere dei loro studenti (Hunt & Hunt, 2000). È importante a sua volta aumentare la conoscenza dei docenti rispetto ai loro studenti con punti di forza della disabilità, abilità sociali e allo stesso tempo evitare un’enorme attenzione ai loro deficit. Gli insegnanti dovrebbero essere formati ad utilizzare modalità che facilitano l’e­mergere delle specificità e dell’unicità di ogni singolo studente ricorrendo, ad esempio, a modalità verbali e narrative che permettono di superare la tendenza a visioni stereotipate e all’uso di etichette; a guardare alla diversità come a una ricchezza e non come a una minaccia da cui difendersi, a valorizzare le differenze individuali e le tradi­zioni culturali differenti ed usarle come guida nella costruzione di curricula di apprendimento; e soprattutto ad essere agenti di cambiamento in favore dell’inclusione (Nota, Ferrari, Sgaramella, & Soresi, 2016). A questo riguardo, dovrebbero essere formati ad essere ‘sentinelle’ dell’inclusione, a difesa dei diritti e del benessere di ogni persona e denunciare i contesti in cui tali diritti sono negati, specialmente per quelle persone che sono maggiormente a rischio di esclusione ed emarginazione (Nota & Soresi, 2017).

 

Bibliografia

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