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numero 49 - luglio 2017

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Alienazione Parentale: inquadramento scientifico e buone prassi di contrasto

Alienazione Parentale: inquadramento scientifico e buone prassi di contrasto

Nel nostro Paese è in atto un dibattito riguardo la nozione di alienazione parentale che presenta il rischio di allargarsi a derive potenzialmente fuorvianti.  

Esistono da un lato abbondanti evidenze riguardo l’esistenza di situazioni nelle quali un figlio o una figlia rifiuta immotivatamente un genitore sulla base di una “campagna di denigrazione” e di una programmazione, più o meno diretta, messa in atto dall’altro. Dall’altro lato viene messa in dubbio l’esistenza di una “sindrome” specifica legata a questo fenomeno. Questa negazione nasce da un presupposto corretto: ovvero, questo fenomeno non comporta di per sé un “disturbo” a carico del figlio o della figlia (PAS, Parental Alienation Syndrome).  Da ciò, negare il fenomeno stesso a partire dalla insussistenza di una specifica “sindrome” significa commettere un grossolano errore. Sarebbe come affermare che, visto che non esiste una “sindrome” riconoscibile derivante dallo stalking, lo stalking non esiste. O che poiché l’abuso sessuale non produce conseguenze sintomatiche identificabili non esiste l’abuso. Il dibattito va dunque riportato in una dimensione più concreta e pertinente. È comunque più corretto parlare di “alienazione parentale” (AP) e non di “sindrome di alienazione genitoriale” (PAS).

La “sindrome della madre malevola”

Ricerche condotte su campioni di figli negli Stati Uniti hanno consentito di individuare almeno venti modi con i quali i genitori possono coinvolgere il figlio nel loro conflitto: denigrando l’altro genitore, interferendo nella comunicazione tra il figlio e l’altro genitore, oppure evitando ogni riferimento a quest’ultimo cercando di “cancellarlo” (Baker, 2007).

Diverse critiche sono peraltro scaturite dall’utilizzazione di termini quali “programmazione” e “lavaggio del cervello”, legate ad una logica interpretativa ritenuta troppo “lineare” e semplicistica. È infatti naturale che un genitore, per educare il figlio, gli trasmetta la sua realtà, e che questa realtà possa essersi profondamente alterata riguardo all’ex partner, dopo la separazione. Perciò diventa impossibile distinguere quello che in buona fede il genitore trasmette al figlio a scopo educativo e quanto egli faccia con l’intento doloso di allontanare il figlio dall’altro genitore (Gulotta, 1998). Come osservano Liberatore, Gulotta e Cavedon (2015), tutta l'educazione dei figli consiste nell'influenzarli, nell’indirizzarli nella selezione dei valori e delle scelte di valutazione degli stessi, nelle diagnosi interpersonali, nell’adeguamento alle regole.

Indipendentemente dalle accuse – spesso volutamente esagerate – che i partner in conflitto si scagliano nei processi per separazione personale con addebito, quasi tutti i separandi fanno attribuzioni di tipo self-serving ai danni del coniuge: la realtà che il genitore inculca nel figlio è spesso la sua reale realtà soggettiva, ricostruita per giustificare e per giustificarsi. Le situazioni familiari (e i relativi “giochi”) riconducibili al rifiuto di un genitore da parte del figlio/della figlia si collocano lungo uno “spettro” motivazionale ai cui estremi troviamo (Camerini, 2016):

  • da un lato, i casi in cui il figlio si trova coinvolto in una immotivata campagna di denigrazione da parte di un genitore (identificabile come mobbing genitoriale [1] o sindrome della madre malevola [2]) e si allinea passivamente sulle sue posizioni secondo dinamiche relazionali riconducibili ad un “conflitto di fedeltà”;
  • dall’altro, i casi in cui le motivazioni presenti nel figlio e nel genitore prescelto sono giustificate ed alimentate dai comportamenti negativi (in senso commissivo od omissivo) dei quali si è reso responsabile il genitore rifiutato (Van Gijseghem, 2003);
  • esiste poi una variegata quantità di condizioni intermedie, a genesi multifattoriale, accomunate dalla presenza di un conflitto genitoriale all’interno del quale i figli sono più o meno direttamente coinvolti ed ognuno dei soggetti si identifica in un ruolo e realizza alleanze secondo logiche e nessi causali circolari (Camerini, Lopez e Pingitore, 2016).

Il DSM-5

Nel DSM-5 la nozione di alienazione parentale risulta “distribuita” tra i Problemi Relazionali inseriti all’interno delle Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica (Camerini, Magro, Sabatello e Volpini, 2014). Di queste “condizioni” fanno parte anche l’abuso e la trascuratezza, essendo esse differenziate dai disturbi individuali; possono essere oggetto di attenzione clinica oppure possono influenzare la diagnosi, il decorso, la prognosi o il trattamento di un disturbo mentale di un paziente.  

Un “problema relazionale” non viene considerato un vero e proprio disturbo, riferendosi piuttosto ad una relazione che coinvolge due o più soggetti.  Due sono gli aspetti cruciali:

  • da un lato, si specifica che “le relazioni più importanti, specialmente relazioni intime tra partner adulti e relazioni genitore/caregiver-bambino, hanno un impatto significativo sulla salute degli individui in queste relazioni”, potendo essere esse protettive e promotrici di salute, neutrali oppure dannose per gli esiti della salute se associate a maltrattamento o a trascuratezza. Si qualifica quindi la nozione di “relazione intima con il genitore” come fattore protettivo o, all’inverso, come fattore di rischio per il figlio;
  • dall’altro,un problema relazionale si associa a disagi clinicamente significativi in uno o più membri dell’unità relazionale: viene sottolineato che “un problema relazionale può arrivare a presentarsi all’attenzione clinica sia come la ragione per la quale l’individuo cerca un’assistenza sanitaria oppure come un problema che influenza il decorso, la prognosi, oppure il trattamento del disturbo mentale oppure di un altro disturbo medico dell’individuo”. Questi problemi, dunque, richiedono spesso un intervento psicosociale curativo in una prospettiva clinica e preventiva a causa degli esiti negativi che possono produrre sullo sviluppo del figlio.

Tra i problemi relazionali, il DSM-5 distingue i Problemi correlati all’allevamento dei figli, tra i quali sono descritti:

  • V61.20 (Z62.820) Problema relazionale genitore-bambino, quando il principale oggetto di attenzione clinica è indirizzare la qualità della relazione genitore-bambino e il problema si associa ad una compromissione del funzionamento in ambito comportamentale, cognitivo o affettivo. Esempi sono:
    • problemi comportamentali: inadeguato controllo genitoriale, supervisione e coinvolgimento del bambino; iper-protezione genitoriale, eccessiva pressione genitoriale; discussioni che possono sfociare in minacce di violenza fisica ed evitamento senza soluzione di problemi;
    • problemi cognitivi: attribuzione negativa alle intenzioni altrui, ostilità verso gli altri, rendere gli altri il capro espiatorio, sentimenti non giustificati di alienazione;
    • problemi affettivi: sensazioni di tristezza, apatia o rabbia verso gli individui nelle relazioni;
  • V61.29 (Z62.898) Effetti negativi del disagio relazionale dei genitori sul bambino, quando l’oggetto di attenzione clinica sono gli effetti negativi della discordia nella relazione genitoriale (ad es., alti livelli di conflitto, disagio o denigrazione) su un bambino in famiglia;

All’interno della categoria Altri problemi correlati al gruppo di sostegno primario sono descritti:

  • V61.10 (Z63.0) Disagio relazionale con il/la coniuge o con il/la partner. Esempi di problemi:
    • problemi comportamentali: difficoltà di soluzione dei conflitti, ritiro, eccessivo coinvolgimento;
    • problemi cognitivi: attribuzioni negative croniche alle intenzioni altrui o rifiuto dei comportamenti positivi del/della partner;
    • problemi affettivi: tristezza cronica, apatia e/rabbia nei confronti del/della partner;
  • V61.03 (Z63.5) Disgregazione della famiglia a causa di separazione o divorzio;
  • V61.8 (Z63.8) Alto livello di emozioni espresse all’interno della famiglia, in particolare ostilità, eccessivo coinvolgimento emozionale e critica diretta verso un membro della famiglia che è un paziente identificato.

Questa classificazione risulta per alcuni aspetti piuttosto farraginosa ma consente di differenziare le varie fattispecie di rifiuto di un figlio nei confronti di un genitore a seconda dei contributi e dei profili di responsabilità da parte dei soggetti coinvolti nelle relazioni familiari. In tal senso, il coinvolgimento in un’alienazione parentale non costituisce in sé e per sé un disturbo a carico del figlio o della figlia, bensì un grave fattore di rischio per l’instaurarsi di problematiche di interesse psicopatologico e psichiatrico nell’adolescenza e nell’età adulta (Cfr. anche Montecchi, 2016). Queste dinamiche relazionali sono infatti in grado di determinare nel bambino un conflitto di lealtà, il quale spinge a rifiutare un genitore per compiacere l’altro. Il conflitto di lealtà costituisce il nucleo centrale delle condizioni di alienazione parentale. Si tratta di un sentimento pervasivo presente nel figlio o nella figlia e basato sul timore di tradire la fiducia di un genitore (e di perderne l’affetto) qualora si mostri di gradire il contatto con l’altro. Il persistere di questi sentimenti conflittuali è in grado di provocare una sorta di scissione interna nel figlio/nella figlia tra due opposte rappresentazioni di un genitore: da un lato quella positiva, legata alle esperienze di condivisione e di scambi affettivi realmente vissute e sperimentate, dall’altro una rappresentazione negativa e persecutoria derivante dalle squalifiche e dalle denigrazioni operate dall’altro genitore. Possono quindi prodursi disturbi dell’empatia e del pensiero sino all’instaurarsi di un vero e proprio disturbo dissociativo dell’identità o di tratti di personalità paranoicali.

Baker e Verrocchio (2013) hanno ad esempio rilevato in un’indagine svolta su 257 studenti di Chieti alti tassi di depressione, bassa autostima, abuso di alcol e stili di attaccamento disturbati nel gruppo di coloro che erano stati soggetti durante l’infanzia all’alienazione di un genitore legata a conflitti familiari conseguenti alla separazione e tali da coinvolgere i figli. In un altro lavoro di Verrocchio e Baker del 2013 compiuto su 730 studenti di Chieti, si rilevavano, tra i soggetti esposti a contrasti familiari ed a conflitti di lealtà, importanti effetti dannosi sul loro funzionamento a lungo termine e sul benessere in età adulta.

Sul piano giuridico, tali situazioni comportano una violazione dei diritti relazionali dei soggetti coinvolti: diritti per definizione biunivoci, da un lato sussistendo il diritto del figlio/della figlia alla bi-genitorialità e dall’altro il diritto-dovere del padre e della madre di provvedere al suo mantenimento, alla sua cura e alla sua educazione come sancito dalla Costituzione. Diverse sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo hanno sanzionato il nostro Paese per violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU (rispetto della vita personale e familiare) in situazioni (assimilabili a condizioni di alienazione parentale) nelle quali le agenzie sociali e giudiziarie non avevano agito convenientemente per garantire l’effettività dei diritti di visita.

In merito agli interventi che è opportuno disporre in queste situazioni, qui di seguito  si riporta il “decalogo” recentemente messo a punto da operatori esperti delle scienze psicologiche e del diritto. 

 

Buone prassi giudiziarie e psicosociali in favore della bigenitorialità e di contrasto all’Alienazione Parentale

Centro Studi Famiglia dell’Associazione Circolo Psicogiuridico

Centro Universitario Internazionale (CUI)

Centro Universitario di Studi e Ricerche in Scienze Criminologiche e Vittimologia – SCRIVI

Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia Forense e della Comunicazione

La Casa di Nilla, Centro specialistico della Regione Calabria per la cura e la protezione dei minori

Master in Neuropsicologia e Psicopatologia Forense – Università di Padova

Società Italiana Scienze Forensi – SISF

Società di Psicologia Giuridica – SPG

Unità PsicoForense – UPF

Università IUSVE di Venezia

Premessa

Le separazioni conflittuali rappresentano un fenomeno molto dannoso per la salute psicofisica sia dei genitori che dei figli minorenni e non di rado generano difficoltà relazionali tra figlio e genitori con conseguenze a distanza anche gravi, in primis per i figli, costituendo una condizione di stress cronico. Pertanto si rendono necessarie valutazioni psicoforensi e modelli di intervento tempestivi ed efficaci, tali da consentire il rispetto delle decisioni dei tribunali e la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti, attraverso un coordinamento tra autorità giudiziaria ed agenzie sociali e sociosanitarie, prevenendo così il consolidamento di situazioni pregiudizievoli per i minori coinvolti sino a configurarsi un vero e proprio problema di salute pubblica.

1. Separazioni conflittuali e rifiuto di un genitore

Può avvenire che uno o più figli, attraverso comportamenti espliciti e/o impliciti di uno dei due genitori, solitamente quello collocatario, possano essere indotti a rifiutare l’altro genitore. Tale situazione viene chiamata talvolta alienazione parentale che definisce una disfunzione dei rapporti interpersonali intrafamiliari. Essa configura sul piano giuridico una lesione dei diritti relazionali dei soggetti coinvolti – che ha provocato numerose condanne del nostro Paese da parte della Corte Europea dei Diritti Umani – e, sul piano clinico, un importante fattore di rischio per lo sviluppo psico-affettivo del figlio. I comportamenti che ne sono alla base possono essere rilevati in giudizio attraverso una CTU. I provvedimenti da assumere dovranno adattarsi alla situazione concreta e tenere conto primariamente dell’età e della maturità del figlio minorenne. Va tenuto presente che il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo ed il genitore che non vive con lui sino alla sua perdita, provocando danni anche molto gravi al funzionamento psicologico ed adattivo del figlio ed alla stessa organizzazione della sua personalità.

2. Tempi di frequentazione tendenzialmente paritetici

Anche le esperienze di altri Paesi dimostrano che uno standard minimo di frequentazione dell’uno e dell’altro genitore riduce la conflittualità, e consente al figlio minorenne di mantenere, dopo la separazione, relazioni affettive ed educative equilibrate in tempi tendenzialmente paritetici con entrambi, ponendoli sullo stesso piano per quanto riguarda l’esercizio concreto delle responsabilità che loro competono.

La disciplina vigente in tema di affidamento condiviso dei figli prevede all’art. 337 ter c.c. che il giudice determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, ed a tal fine si sottolinea l’importanza di adottare, come schema minimo per l’attuazione del diritto del minorenne a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori, il “calendario tipo”, di regola applicato dai Tribunali di Roma e di Milano, che preveda fin da subito “fine settimana alternati dal venerdì alla mattina sino al lunedì alla mattina; nella settimana successiva due pomeriggi, compresi i pernottamenti, preferibilmente quelli del martedì e del giovedì; la metà delle vacanze scolastiche del Natale e della Pasqua ed almeno 30 giorni continuativi o da dividersi in due periodi, per le vacanze estive”.

3. Provvedimenti presidenziali temporanei ed urgenti e quelli di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli

I provvedimenti presidenziali provvisori ed urgenti – emessi dai Tribunali anche per spegnere l’iniziale contrasto – costituiscono, da sempre, la prima linea della tutela del diritto del figlio minorenne all’accesso paritetico alle due figure genitoriali.

L’affidamento condiviso, secondo la legge vigente, costituisce la regolazione normale dell’esercizio della responsabilità genitoriale che spetta ad entrambi i genitori anche in caso di mancata realizzazione o di rottura dell’unità familiare.

I genitori in forza dell’art. 337 quinquies c.c. – hanno il diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli. L’esercizio di questa facoltà rende possibile al giudice di rilevare tempestivamente, ogni comportamento da parte di un genitore che sia tale da produrre un danno alla serena crescita del figlio. Nei casi più gravi, una volta accertata giudizialmente l’esistenza di tali comportamenti, il tribunale può anche disporre l’affidamento esclusivo del figlio minorenne ad uno solo dei genitori quando ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento anche all’altro sia contrario all’interesse del minore. (art. 337 quater co. 1 e 2 c.c.).

4. Sanzioni

La Corte EDU ha raccomandato all’Italia di adottare provvedimenti a riguardo con la dovuta tempestività onde evitare che queste situazioni si radichino e si stabilizzino, perché soprattutto il decorso del tempo può avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra il bambino ed il genitore che non vive con lui.

Al fine di scongiurare quei comportamenti dei genitori che siano di “danno alla serena crescita del figlio” si consiglia di richiedere l’adozione di tutta quella serie di “rimedi” che sono stati anticipati dai maggiori Tribunali in Italia, come quello delle Penalità di inadempimento (Astreintes), che sono – con la previsione di una “sanzione” per ogni volta che si replichi un inadempimento alla corretta esplicazione della responsabilità genitoriale – un vero e proprio deterrente, immediato ed efficace, nel contrasto di un comportamento alienante al suo primo manifestarsi. È evidente come, ove questi comportamenti dannosi per il figlio non abbiano a cessare, devono essere tempestivamente evidenziati dal legale della parte e deve essere immediatamente presa una decisione, che preveda anche la “modifica delle modalità di affidamento” privilegiandoil cambio della allocazione dei minori.

5. Inversione del collocamento abituale del minore

L’inversione della residenza abituale del bambino è senza dubbio il provvedimento più incisivo, da adottare tempestivamente quando gli accertamenti effettuati dimostrino che i comportamenti alienanti del genitore collocatario abbiano un carattere non contingente ma strutturale.

Eventualmente, nei casi di alienazione parentale più complessi, potrebbe risultare necessario un trasferimento provvisorio del minore in una struttura protetta (cfr. punto 6). Durante questo periodo saranno avviati gli incontri protetti in spazio neutro con il genitore non collocatario (cfr. punto 7). Quando il provvedimento comporta il cambio di scuola per il minorenne, ove possibile, sarebbe bene eseguirlo al termine dell’anno scolastico o in un periodo di vacanza.

6. Trasferimento del minore in struttura protetta

Quando il figlio continua a rifiutare qualsiasi contatto e comunicazione con il genitore escluso e con i suoi parenti, in mancanza di altre opzioni praticabili, sarà necessario prevedere il suo trasferimento in una residenza transitoria presso una struttura specializzata per minorenni, e cioè una casa famiglia gestita da operatori qualificati in grado di realizzare uno specifico programma i cui termini e modalità dovranno essere illustrati al figlio ed ai genitori. In particolare la durata della residenza transitoria sarà stabilita in relazione ai tempi evolutivi del bambino e della sua famiglia; saranno previsti percorsi psicoeducativi adeguati alle esigenze del bambino; incontri calendarizzati con entrambi i genitori; incontri di sostegno psicologico con la coppia genitoriale; passaggio graduale del figlio verso la residenza del genitore precedentemente rifiutato; ripristino graduale della relazione tra figlio e l’altro genitore.

In tale frangente sarà da considerare l’opportunità di sospendere temporaneamente i rapporti tra il figlio ed il genitore favorito onde evitare influenzamenti che ostacolino la ripresa dei rapporti con il genitore rifiutato.

Gli sviluppi di tale processo saranno riferiti all’autorità giudiziaria tramite resoconti del servizio sociale competente che si interfaccerà con la struttura specializzata.

7. Incontri in spazio neutro

A seconda dei casi, il programma di incontri in spazio neutro prevede operatori esperti che, utilizzando apposite tecniche e strumenti, svolgano un ruolo di facilitatori della relazione con entrambi i genitori. In linea generale questi programmi devono svilupparsi in un continuum che dallo spazio neutro porti gradualmente verso periodi di permanenza presso l’abitazione del genitore precedentemente respinto. La frequenza degli incontri non dovrebbe mai essere inferiore ad uno per settimana, prevedendone preferibilmente almeno due. Fondamentale per la buona riuscita di questi programmi, che si svolgono nell’ambito del regime giuridico stabilito dal provvedimento del giudice, è che siano: gestiti da operatori specializzati; svolti in luoghi appositamente attrezzati; calendarizzati garantendone frequenza e continuità; puntualmente relazionati all’autorità giudiziaria.

8. Trattamento sanitario sul minore

L’esperienza conferma che a) la durata del conflitto familiare, b) la intempestività dei tempi della giustizia, c) le fasi dello sviluppo psicofisico del bambino producono per lo più un consolidamento potenzialmente irreversibile del deterioramento dei sentimenti, degli atteggiamenti, delle capacità di comunicazione del figlio con il genitore di solito non convivente dovuto al conflitto familiare da lui vissuto in modo distorto.

Un trattamento, inteso nelle forme del sostegno psicologico e/o psicoterapico, ove finalizzato a far acquisire al minore maggior consapevolezza delle proprie relazioni familiari, quale unico intervento potrebbe risultare inefficace innanzitutto per mancanza di motivazione al cambiamento, tanto più se il bambino continua a subire il condizionamento del genitore che ha alimentato la sua avversione nei confronti dell’altro nel corso dell’intervento, sino a poter provocare, talvolta, paradossalmente una cronicizzazione del rifiuto. Per tali motivi sono da preferire interventi alternativi quali quelli rappresentati ai punti 6 e 7.

9. Trattamenti sanitari etero-indotti sui genitori

Sulle prestazioni sanitarie etero-indotte, nello specifico sostegno psicologico e psicoterapia, si richiama l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità secondo cui il presupposto indefettibile di ogni trattamento sanitario risiede nella scelta, libera e consapevole – salvo i casi di necessità e di incapacità di manifestare il proprio volere – della persona che a quel trattamento si sottopone, considerando la persona soggetto attivo e partecipe dei processi decisionali che lo riguardano per l’attuazione del diritto alla salute.

10. Ruolo e funzione dei servizi socio sanitari

L’esperienza dimostra l’impossibilità per il servizio sociale territoriale di svolgere con successo la duplice funzione di controllo dell’attuazione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria e di aiuto e presa in carico della famiglia conflittuale ed alienante, che richiede un setting neutrale e non giudicante. Va poi ricordato che i servizi spesso mancano di personale specializzato per le situazioni di grave conflittualità familiare o per i casi di alienazione parentale, né dispongono di spazi neutri appositamente organizzati.

Queste considerazioni inducono a ritenere preferibile che il servizio sociale mantenga per sé le funzioni di vigilanza contemplate dal mandato giudiziario e deleghi a strutture neutrali e specialistiche lo svolgimento di un progetto d’intervento maturato al di fuori del processo sulla base del consenso informato delle persone interessate.

Lo spazio extraprocessuale previsto dall’art. 337 octies co. 2 c.c. può essere funzionale non solo alla mediazione familiare ma anche all’avvio di un progetto di sostegno – ed eventualmente di cura – maturato e condiviso con le persone interessate da operatori specializzati organizzati in una struttura apposita. Dette strutture possono coincidere con quelle deputate all’accoglienza del minore durante il periodo di transizione di cui al punto 6 e all’effettuazione degli incontri in spazio neutro di cui al punto 7.

 

A chi fosse interessato a materiali di natura clinica, psicoforense e giuridica per approfondire questi temi, suggeriamo di consultare il sito www.alienazioneparentale.it.

 

Riferimenti bibliografici

Baker, A.J.L. (2007). Adult children of parental alienation syndrome. New York: Norton.

Baker, A.J.L. e Verrocchio, M.C. (2013). Italian college student-reported childhood exposure to parental alienation: correlates with well-being. J Divorce; 54:609-28.

Camerini, G.B. (2016). L’alienazione parentale. In: Gulotta G. (a cura di). La scienza psicosociale nell’affidamento dei figli. Il Protocollo di Milano. Milano: Giuffré Editore.

Camerini, G.B., Lopez, G. e Pingitore, M. (2016). Alienazione Parentale. Innovazioni cliniche e giuridiche. Milano: Franco Angeli.

Camerini, G.B., Magro, T., Sabatello, U. e Volpini, L. (2014). La Parental Alienation: considerazioni cliniche, nosografiche e psicologico-giuridiche alla luce del DSM-5. Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva, 34: 39-48

Gulotta, G. (1998). La sindrome di alienazione genitoriale: definizione e descrizione. Pianeta Infanzia 1998: Questioni e documenti. 27-72.

Liberatore, M., Gulotta, G. e Cavedon, A. (2015). La sindrome di alienazione parentale. Lavaggio del cervello e programmazione dei figli ai danni dell’altro genitore. Milano: Giuffré Editore.

Montecchi, F. (2016). I figli nelle separazioni conflittuali e nella (cosiddetta) PAS (Sindrome di Alienazione Genitoriale). Massacro psicologico e possibilità di riparazione. Milano: Franco Angeli.

Turkat, I.D. (1995). Divorce Related Malicious Mother Syndrome. Journal of Family Violence, 10(3) 253-264.

Turkat, I.D. (1999). Divorce Related Malicious Parent Syndrome. Journal of Family Violence, 14(1) 95-97.

Van Gijseghem, H. (2003). La syndrome d’alienation parentale. Journal du droit des jeunes, 222: 24-26.

Verrocchio, M.C. e Baker A.J.L. (2013). Italian adults’ recall of childhood exposure to parental loyalty conflicts. Journal of Child and Family Studies, 1-11.


[1] I comportamenti più significativi in tal senso sono:

  • l’indottrinamento circa i difetti e le mancanze dell’altro genitore e l’estensione delle critiche alla famiglia allargata;
  • il coinvolgimento nelle critiche di altri membri della famiglia;
  • la sollecitazione di un’alleanza unita alla costruzione di un legame simbiotico;
  • il tentativo di sostituzione del genitore con il proprio/la propria partner;
  • l’ostacolo alle visite;
  • le denunce infondate di molestie.

[2] Secondo i contributi di Turkat (1995, 1999) e di altri autori, la Sindrome della Madre Malevola/Genitore Malevolo si realizza quando, dopo la cessazione del rapporto coniugale, il genitore,pur rimanendo esente da altre psicopatologie accertabili, e mantenendo coi figli – almeno inapparenza – un efficace rapporto di accudimento, tuttavia esercita nei confronti dell’ex partner uncomportamento lesivo, teso soprattutto ad impedirgli un normale ed affettuoso rapporto coi figli. L’alterazione della condotta può comprendere sia veri e propri gesti antigiuridici, oppure può trasformarsi in un eccesso di azioni legali con cui impedire all’altro genitore il rapporto coi figli. Va sottolineato come però non sempre sia la madre il genitore che adotta i comportamenti in questione, esistendo una percentuale non irrilevante di padri.