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numero 40 - settembre 2016

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L'intervista

Intervista a Giuseppe Iraci Sareri

Intervista a Giuseppe Iraci Sareri

Il prossimo 30 settembre – 1 ottobre si svolgerà a Firenze un workshop esperienziale con Lorna Smith Benjamin, professore emerito di Psicologia e fondatrice dell’Interpersonal Reconstructive Therapy Clinic presso l’Istituto di Neuropsichiatria dell’Università di Utah. Il workshop verterà sulla Terapia Ricostruttiva Interpersonale in persone con comorbidità, resistenti al trattamento di rabbia, ansia, depressione e tendenze suicidarie. Abbiamo chiesto a Giuseppe Iraci Sareri, promotore dell’iniziativa, di illustrarci questo approccio psicoterapeutico.

D. Dott. Iraci, qual è la visione dell’uomo e della psicopatologia nella Tsicoterapia Ricostruttiva Interpersonale?

R. L’approccio della Terapia Ricostruttiva Interpersonale (TRI) assume che gli esseri umani, che si trovano nel gradino più alto sul continuum filogenetico dei primati, siano estremamente influenzati dall’apprendimento (Darwin). La prospettiva della TRI assume che l’apprendimento individuale, familiare e sociale si combini alla chimica e alla struttura come fattori importanti da considerare quando si affronta il problema delle cause, dei meccanismi e del trattamento del disturbo mentale. Si assume inoltre che il comportamento di un essere umano sia influenzato dalla volontà o capacità di agire. Probabilmente non è possibile sapere fino a quanto la volontà sia indipendente dall’ereditarietà o dall’esperienza. La teoria dell’Apprendimento Evolutivo e dell’Amore (DLL, Developmental Learning and Loving) che hanno caratterizzato lo sviluppo è la base della formulazione dei casi nella TRI. La formulazione del caso è il punto centrale di ogni intervento perché tenta di identificare le cause psicosociali, da affrontare, che provocano modi di fare problematici. La teoria dell’Apprendimento Evolutivo e dell’Amore guida la formulazione del caso e cerca di organizzare i sintomi presentati in relazione a fattori causali di origine psicosociale, dandogli un senso. Tale approccio, basandosi sulla teoria dell’attaccamento di Bowlby secondo la quale le prime relazioni importanti del bambino costituiscono le basi di quello che l’autore chiama “modelli operativi interni” e che rappresentano ciò da cui il bambino parte per rapportarsi al mondo, mette in risalto il collegamento tra i modi di fare disfunzionali attuali con cui la persona si confronta e le interiorizzazioni delle Persone Importanti e delle loro Rappresentazioni Interne (PIRI). I collegamenti tra le relazioni con le figure chiave e i sintomi presentati possono avvenire  attraverso quelli che vengono definiti processi di copia, messi in atto dalla persona:

  • identificazionesii come lei/lui – è un processo che induce ad essere il più possibile uguale o simile alla figura di attaccamento. Per esempio, se la figura di attaccamento trascurava il paziente, questi potrebbe diventare a sua volta trascurante;
  • ricapitolazioneagisci come se lei/lui fosse ancora qui e avesse il controllo –  è un processo che induce a comportarsi come se la figura di attaccamento avesse ancora un ruolo e un potere determinante sull’individuo. Tornando all’esempio precedente, la persona potrebbe sposare una persona che la trascura;
  • introiezionetratta te stesso come lo faceva lei/lui – consiste nel trattare se stessi come si è stati trattati. Questo processo di copia, restando all’esempio, implicherebbe che l’individuo sia molto trascurante con se stesso e non si preoccupi di soddisfare i suoi bisogni.

La motivazione che spinge a mantenere i modelli copiati è di raggiungere prossimità psichica alle figure chiave denominate PIRI. Continuando ad esibire comportamenti, sentimenti e pensieri collegati alle norme e ai valori di una PIRI, il paziente spera di ottenere una maggiore e migliore vicinanza della persona amata. Di solito c’è il desiderio o la fantasia di riscrivere la storia in modo che le cose siano “come avrebbero dovuto essere” invece di come sono andate. La strategia che sembra essere alla base è questa: se il paziente rimane leale e offre un’adeguata testimonianza alle norme e valori della PIRI, otterrà il riavvicinamento e l’armonia che desidera. I modi di fare problematici ispirati da questa idea sono finalizzati a riconciliarsi con la persona amata e ad ottenere prossimità psichica, questo è per la Benjamin l’essenza della sua teoria “ogni psicopatologia è un dono d’amore”.
I processi di copia sono i meccanismi con cui le prime relazioni sono collegate ai sintomi presentati. Il dono d’amore è la motivazione che sostiene i processi di copia. L’ipotesi di lavoro è che il dono d’amore, il desiderio di prossimità psichica, sia un fattore causale psicosociale dei problemi presentati nella popolazione dei pazienti intrattabili.

D. Quali sono le fasi della TRI?

R. La Benjamin individua cinque fasi all’interno delle quali si snoda il processo terapeutico:

  • costruire la collaborazione e l’alleanza
  • apprendere i modi di fare, da dove provengono e a che cosa servono
  • bloccare i modi di fare disfunzionali
  • promuovere la volontà di cambiare
  • imparare nuovi modi di fare.

All’interno di ognuna di queste fasi le tecniche utilizzate sono classificate in due sottogruppi a seconda che facilitino la scoperta di sé o la gestione di sé. In generale le tecniche basate sulla terapia psicodinamica e sulla terapia centrata sul cliente sono più adatte a incoraggiare la scoperta di sé attraverso l’esperienza dei sentimenti e pensieri attuali e di quelli reconditi verso di sé e gli altri. Le tecniche delle terapie comportamentali, invece, richiamano più facilmente le attività di gestione di sé attraverso l’apprendimento e la pratica di varie abilità come il dialogo interno o l’assertività.  Sia le attività di scoperta di sé che quelle di gestione di sé sono necessarie nella TRI. Il terapeuta TRI, nel promuovere attività di scoperta di sé e di gestione di sé, finalizzate alla realizzazione dell’intero processo terapeutico, tiene presente “l’algoritmo di base” che guida ogni suo singolo intervento. L’algoritmo di base nella TRI specifica come scegliere un intervento in qualsiasi momento ed è costituito da sei regole o linee guida: lavorare con una posizione di base di accurata empatia, sostenere l’alleato alla crescita (verde) piuttosto che l’alleato regressivo (rosso) , collegare ogni intervento alla formulazione del caso, raccogliere i dettagli su Input, Risposta e Impatto sul Sé (IRIS); sollecitare gli ABC (Affect, Behavior, Cognition) associate alla storia.

D. Si tratta di un modello terapeutico centrato sul qui e ora, più tipico dei modelli umanistici, o maggiormente focalizzato sul passato, più in sintonia con modelli dinamici?

R. La TRI è un modello terapeutico che deve molto alla psichiatria interpersonale di Harry Sullivan ma ha molto in comune con le idee di altri importanti teorici delle relazioni oggettuali come Otto Kernberg. Condivide con le terapie psicodinamiche l’interesse a parlare del passato con lo scopo di  cambiare la motivazione. Una revisione del passato che identifichi i modi di fare, da dove provengono e a cosa servano, può contribuire significativamente a promuovere la volontà di cambiare. Tra le tecniche di matrice psicodinamica utilizzate nella TRI troviamo l’utilizzo delle libere associazioni, l’analisi dei sogni, il transfert e il controtransfert. La TRI fa proprie anche tecniche e assunti di altri approcci,  quali la terapia centrata sul cliente, da cui mutua l’empatia e l’accettazione incondizionata come elementi essenziali nell’alleanza terapeutica, le terapie cognitivo-comportamentali e le terapie familiari, di coppia e sistemiche.
È dunque una teoria che integra idee provenienti da vari approcci e che non può essere collocata per questo motivo in modo specifico all’interno dell’uno o dell’altro, ma costruisce un approccio nuovo che tiene conto dell’aspetto intrapsichico e interpersonale.

D. Quali sono le difficoltà che un terapeuta può incontrare nello sperimentare tale approccio?

R. Come ho detto, si tratta di un approccio complesso che tiene conto del livello intrapsichico del soggetto  ma anche della percezione di sé in relazione con l’altro e dell’altro in relazione con sé, e questo aumenta la complessità dell’apprendimento di questo modello. Oltre a ciò, il clinico deve imparare le “etichette” della SASB (il modello di analisi dei processi interpersonali sviluppato dalla Benjamin), allo stesso modo in cui un musicista deve imparare le regole di base dell’armonia e del ritmo.  La capacità di leggere le note SASB aiuta il clinico ad interpretare velocemente i modelli interpersonali ed intrapsichici di un paziente e a reagire appropriatamente. Per diventare esperti della TRI è necessario dunque molto studio e soprattutto molta pratica. Trattandosi di un intervento molto strutturato e complesso il terapeuta può trovare inizialmente delle difficoltà a gestire tutto il modello per cui è necessario iniziare a padroneggiare solo una o due componenti per volta. I terapeuti che apprendono la TRI dovrebbero andarci piano, aspettarsi di fare errori e cercare di individuarli e riconoscerli. Dovrebbero essere pazienti e non sorprendersi se avranno bisogno di molta pratica.

D. Ci sono particolari tipologie di pazienti (ad esempio caratteristiche di personalità o tipi di disagio) su cui la Psicoterapia ricostruttiva interpersonale si rivela particolarmente efficace? 

R. Le evidenze cliniche raccolte finora indicano che la TRI ha un’ampia applicabilità. La TRI è però specificamente progettata per pazienti con disturbi refrattari al trattamento, che hanno ricevuto una diagnosi psichiatrica grave e rifiutano o non rispondono ai trattamenti solitamente utilizzati.  In particolare questo approccio si rivolge a pazienti con disturbi di personalità collocati sull’asse II nel DSM-IV. Per ogni disturbo la Benjamin ha manualizzato gli interventi terapeutici da utilizzare, come riportato nel suo importante libro Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità.  Il clinico che lavora con questi pazienti dovrebbe sforzarsi di affrontare il maggior numero di problemi presentati con la formulazione del caso, utilizzando la  teoria dell’Apprendimento Evolutivo e dell’Amore  in modo coerente e integrato. Le evidenze devono essere organizzate in maniera credibile con ipotesi ragionevoli, verificabili e confutabili che implichino i processi di copia e la prossimità psichica.

D. Ci sono, invece, dei casi in cui questo approccio è sconsigliato?

R. La teoria dell’Apprendimento Evolutivo e dell’Amore cerca di interpretare i problemi clinici significativi sulla base del dono d’amore. Anche il processo evolutivo normale include processi di copia e doni d’amore, ma la teoria DDL non si applica a tutti i casi clinici. L’obiettivo globale della TRI è che un paziente funzioni su una linea di benevolenza con gradi moderati di coinvolgimento e differenziazione. La TRI non è indicata  in questo senso ai membri di una cultura che consideri prioritario uno stile di vita improntato alla vendetta invece che alla benevolenza e alla moderazione.
Altre situazioni nelle quali non è indicato questo approccio sono quelle con gravi problemi organici; ad esempio, se un paziente ha perso i lobi frontali, il deficit risultante nelle funzioni cognitive non è provocato dal processo del dono d’amore. Se una persona ha un tumore che altera la funzione endocrina, i disturbi risultanti non sono organizzati dal dono d’amore.

D. Nella TRI c’è una fase in cui è previsto l’uso di test?

La Benjamin ha sviluppato un modello di analisi dei processi interpersonali chiamato Structural Analysis of Social Behavior (SASB), in italiano Analisi strutturale del Comportamento Interpersonale (ASCI). La SASB può essere applicata ad un’ampia gamma di pattern interpersonali e intrapsichici della relazione terapeutica, di figure amate del presente o del passato o persino di allucinazioni. Una caratteristica centrale della TRI è che i questionari SASB INTREX (tradotti e validati in Italia da Pio Scillico con la sigla ANINT) forniscono assesment operazionalizzati delle rappresentazioni interiorizzate, cioè dei modelli mentali che guidano l’interazione, definiti da John Bowlby come “modelli operativi interni”. Esistono vari questionari ANINT che analizzano le diverse dimensioni di base della SASB: ad esempio, l’ANINT-A  36  è un self report  composto da 36 item in cui il soggetto descrive se stesso nella vita quotidiana e nei momenti difficili; l’ANINT-D è composto da 144 item in cui il soggetto descrive come la persona amata (madre, padre o altra figura di riferimento) si relazionava con lui e come lui si relazionava con la persona amata. Lo stesso questionario può essere utilizzato dallo psicoterapeuta per valutare la qualità della relazione col paziente e viceversa.

D. Qual è il percorso formativo che uno psicologo deve intraprendere per acquisire competenze specifiche su questo approccio?

R. A me non risulta che al momento In Italia ci sia una scuola specifica sulla TRI, tuttavia diverse scuole di specializzazione in psicoterapia hanno introdotto dei moduli specifici di TRI al proprio interno. Ad esempio l’IFREP di Roma ha integrato il proprio modello di Analisi Transazionale con l’approccio della Benjamin.
Pertanto, il percorso formativo può essere al momento quello di leggere attentamente e con cura i libri dell’autrice oltre che  seguire i seminari che ella conduce in Italia e all’estero. È anche importante prendere parte ad un gruppo di intervisione che sta cercando di imparare l’approccio TRI ed in questo gruppo condividere i risultati delle esperienze fatte in terapia con l’utilizzo delle tecniche TRI. Con altri colleghi stiamo progettando di fare un gruppo di intervisione qui a Firenze per studiare ed approfondire la TRI.