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numero 45 - marzo 2017

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Il Personality Assessment Inventory (PAI): lettura di un profilo

Il Personality Assessment Inventory (PAI): lettura di un profilo

Con il Personality Assessment Inventory (PAI; Morey 2007-2015) gli strumenti a disposizione dello psicologo trovano un nuovo self-report che si affianca a quelli già a disposizione e da cui si differenzia sia per la metodologia con cui è stato costruito sia per il modo in cui si presenta al soggetto (item semplici, comprensibili con una bassa scolarità, e possibilità di graduare la risposta su una scala likert a quattro punti). Le sindromi da valutare sono state scelte in base alla loro rilevanza per la diagnosi clinica (Groth-Marnat, Wirght, 2016). Il risultato è un questionario per la valutazione clinica di adulti dai 18 anni agli 89, composto di 344 item, che sviluppano 22 scale tra loro non sovrapposte; a queste negli anni si sono aggiunti una serie di indici, integrati nello scoring, che consentono di fornire ulteriori informazioni sia sullo stile di riposta (ad es., il Defensiveness Index), sia su alcune condizioni cliniche potenzialmente pericolose (ad es., il Suicide Potential Index).

Al fine di mostrare il suo funzionamento, presentiamo il caso di una giovane donna che chiede un aiuto psicologico, per far fronte non solo a un momento di crisi, ma anche per migliorare la qualità della propria vita che ritiene insoddisfacente. La paziente di venticinque anni, dall’aspetto semplice e dai modi gentili, è figlia unica, non riferisce problemi rilevanti a livello familiare, anche se descrive la madre come molto ansiosa e il padre un uomo solitario che ha difficoltà a gestire le relazioni interpersonali, con un pessimo rapporto con la rabbia, per cui tende ad avere, se contraddetto, scoppi di ira. Assenti problemi scolastici e interpersonali, al momento; tuttavia, lamenta difficoltà di relazione con i colleghi di studio, forti vissuti di solitudine, e un’intensa ansia per un concorso, che teme di non aver superato.

 

Il processo diagnostico

Per rispondere ai quesiti che la paziente ci pone, le viene proposto un processo diagnostico (Lang et al., 2013) dove, nell’ottica del multimethod assessment (Hopwood e Bornstein, 2014), ai colloqui clinici e alla raccolta dei dati bio-psico-sociali, è affiancata la somministrazione di altri test (WAIS-IV, PAI, Rorschach-CS). Scopo di questo percorso è includere i risultati dei test nella logica più ampia del processo di assessment e individuare quale possa essere l’organizzatore psicopatologico (Straus, 1948; Stanghellini e Rossi Monti, 2009), vale a dire l’organizzatore emotivo di base (Del Corno et al., 2013; Orefice, 2013).

In tutti gli incontri la paziente è apparsa spaventata, tesa, pronta a gesticolare e a parlare velocemente. Nel raccontare di sé, prova vergogna e teme il giudizio del clinico, in particolare mostra la paura di essere “matta” e inadeguata: “mi vergogno tantissimo a raccontare queste cose”, “penserà che sia pazza”, “mi scusi, sto dicendo un sacco di cose inutili”.

In questo contesto ci soffermeremo solo sui dati che emergono dal protocollo del PAI (v. grafici riportati successivamente) attraverso l’iter interpretativo che Morey, l’autore del test, propone:

  1. rilevare la presenza di possibili distorsioni nel protocollo (validità) e considerare il campione di riferimento;
  2. prendere in esame i diversi cluster diagnostici al fine di formulare ipotesi cliniche;
  3. evidenziare e valutare le possibili configurazioni.
Il PAI – a differenza di altri self-report – offre immediatamente la possibilità di confrontare i punteggi ottenuti dal soggetto sia con la popolazione generale (grafico ottenuto) sia con la popolazione clinica. In tutti i grafici qui presentati è riportato il punteggio grezzo, quello normativo espresso in punti T e un “tetto” definito da una linea continua che rappresenta il profilo del campione clinico di due deviazioni standard sopra la media. Questo permette di confrontare il profilo ottenuto dal soggetto (dati normativi della popolazione generale) con quello del campione clinico. Consente quindi di cogliere l’importanza e la gravità di certe condizioni psicopatologiche.

 

1. Variabili che interferiscono nel processo di risposta

Il PAI fornisce diversi indici di validità (grafico 1) che permettono di valutare l’eventuale presenza di variabili che interferiscono con il processo di risposta. La paziente ha compilato il questionario senza tralasciare item, con una coerenza nelle risposte come atteso da un soggetto che ha chiaramente compreso il compito (INC = 48 T; INF = 48 T); non ha cercato di presentare un’immagine di sé irrealistica o inesatta. Ha quindi fornito una descrizione di sé accurata e bilanciata rispetto a quanto ci saremmo aspettati per una storia clinica come quella raccontata (PIM = 30 T; NIM = 60 T; Defensiveness Index = 49 T).

Grafico 1: Scale di validità

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2. Cluster clinici e ipotesi diagnostiche

Il profilo emerso mostra una serie d’innalzamenti il cui reale significato è determinato dalle relative sottoscale. È importante ricordare che Morey (1996, 2007-2015) ha costruito le scale cliniche cercando di massimizzare la validità di costrutto, discriminante e di contenuto, dove le sindromi cliniche selezionate (scale cliniche) sono un costrutto multidimensionale espresso dalle diverse sottoscale. Si può ritenere che la scala misuri realmente quello che dichiara di misurare solo quando tutte le sottoscale che concorrono a una specifica scala raggiungono il livello di significatività clinica. Dati questi presupposti, quando si interpretano i risultati del PAI, l’iter interpretativo sarebbe “leggere” i dati delle sottoscale prima dei punteggi delle scale. Il clinico esperto, quindi, individua prima quali sottoscale presentano un andamento asincrono e successivamente analizza la singola scala. Nonostante quanto appena affermato, al fine di facilitare il lettore, presentiamo in prima istanza il grafico delle scale cliniche (grafico 2), che è quello che compare dopo le scale di validità.

Grafico 2: Configurazione delle Scale cliniche

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Dato che la paziente presenta quattro innalzamenti sopra il cut-off di significatività clinica (Ansia, Depressione, Schizofrenia e Caratteristiche Borderline), per comprenderne il significato è indispensabile considerare le rispettive sottoscale, avendo in mente quanto sostenuto da Morey [Il cut-off è due deviazioni standard sopra la media (50 + 20 = 70 T)].

La scala dell’Ansia è elevata (ANX = 83 T) a causa dell’innalzamento delle due sottoscale Ansia Cognitiva (ANX C = 81 T) e Ansia Affettiva (ANX-A = 85 T) (grafico 3).

Grafico 3: Configurazione delle sottoscale dell’Ansia

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La paziente lamenta un’ansia diffusa, simile a un’ansia di tratto. È presente un continuo rimuginio che la porta a ripercorrere mentalmente singoli eventi nel tentativo inutile di padroneggiarli. Il ruminare continuo e la preoccupazione incessante per quello che potrebbe verificarsi incidono in maniera significativa sulla sua capacità di concentrarsi, come confermato dalla configurazione delle sottoscale (ANX-C e ANX-A alte; ANC-P nella media). È verosimile che l’ansia si trasformi rapidamente in allarme, causandole una forte tensione; è altrettanto verosimile che l’ansia che la affligge abbia importanti ripercussioni sia sulla percezione che ha di sé sia sui rapporti interpersonali, come la stessa paziente lamenta all’inizio della consultazione.

Il punteggio conseguito alla scala della Depressione (DEP = 79 T) è dovuto a un netto innalzamento della sottoscala Depressione Cognitiva (DEP-C, 91 T) e di quella Affettiva (DEP-A, 85 T) (grafico 4). La mancata elevazione della sottoscala Depressione Fisiologica conferma che mancano i criteri necessari per formulare una diagnosi di depressione e che prevalgono le sensazioni di impotenza e di fallimento personale.

Grafico 4: Configurazione delle sottoscale della Depressione
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La Depressione Cognitiva concorre a uno stato di helpness, che rinforza non solo il rimuginio, ma anche la percezione di inadeguatezza e la poca capacità di rispondere alle richieste dell’ambiente. Una percezione di sé come inadeguata in cui predominano i dubbi sulle proprie capacità trova conferma nella configurazione definita da tre sottoscale: un basso punteggio alla sottoscala della Grandiosità (MAN-G = 42 T), associato a una elevazione alla sottoscala della Instabilità Affettiva (BOR-I = 81 T) e a quella della Depressione Cognitiva (DEP-C = 91 T). La paziente è quindi pervasa da un forte senso di sconforto, che non riesce a fronteggiare, per cui attribuisce alla realtà circostante le cause della propria inadeguatezza. Ne deriva un senso di impotenza diffuso che induce il ritiro, facilitato in parte dalla concomitante elevazione alla scala Depressione Affettiva, che si pone tuttavia come un indicatore prognostico positivo in quanto indice di un senso di insoddisfazione che può costituire un fattore di motivazione al cambiamento.

Il dato inatteso, considerata la storia della paziente, è l’innalzamento di due sottoscale della Schizofrenia (SCZ-P =76 T; SCZ-T = 77 T) (grafico 5), che rimandano a un pattern tipico di un soggetto che presenta una sintomatologia psicotica.

Grafico 5:  Configurazione delle sottoscale della Schizofrenia
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Questo implica la percezione di eventi inusuali, così come di contenuti bizzarri del pensiero. In realtà un quadro tanto estremo è mitigato da quanto emerge, oltre che al colloquio, anche negli altri reattivi: verosimilmente potrebbe essere conseguenza di quella difficoltà di concentrazione, facile distraibilità e confusione evidenziate altrove.

L’altro innalzamento presente nel protocollo, quello della scala Borderline, non consente la diagnosi di DBP perché non tutte le sottoscale sono elevate. La configurazione che risulta (grafico 6) – l’innalzamento delle prime tre sottoscale – indica, generalmente, difficoltà a mantenere una stabilità emotiva, relazioni interpersonali superficiali e transitorie, rabbia sottostante e problemi relativi all’identità. È verosimile che un soggetto che presenta una configurazione di questo tipo abbia una labilità emotiva, contraddistinta da rapidi cambiamenti di umore e da rabbia reattiva.

Grafico 6: Configurazione delle sottoscale borderline
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Il PAI propone al clinico, con le Scale di trattamento, una serie di informazioni utili per pianificare il trattamento (grafico 7). Nel caso da noi descritto il dato interessante è che dal protocollo non emerge che la paziente abbia sensazioni di disagio (STR = 39 T). Il dato è confermato dal punteggio che si ricava dalla scala Mancanza di Supporto (NON = 44 T). I dati delle due scale devono essere valutati insieme. In questo caso emerge la percezione di un ambiente circostante in grado di sostegno. Dati i motivi che hanno indotto la paziente a richiedere una consultazione, questi indicatori sembrano essere poco congruenti; tuttavia, in letteratura si trovano indicazioni che qualora ci siano innalzamenti nelle scale DEP e ANX il soggetto tende a internalizzare un senso di colpa per quanto gli accade (Morey, 2003). Il leggero innalzamento della scala Aggressività (AGG = 62 T) indica abitualmente persone percepite dagli altri come impazienti e irritabili, che possono diventare irascibili quando frustrate o ostacolate.

Grafico 7: Configurazione delle Scale di trattamento
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Per comprendere il livello di funzionamento delle relazioni interpersonali (grafico 8), bisogna considerare le due scale che definiscono lo stile abitualmente adottato dal soggetto nel relazionarsi con gli altri e che devono essere interpretate insieme: Dominanza (DOM) e Calore Relazionale (WRM).

Grafico 8: Configurazione delle Scale interpersonali

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Se, come suggerisce Morey, non solo leggiamo le due scale insieme, ma consideriamo anche la scala BOR-N, abbiamo un pattern particolare: DOM bassa, WRM nella media BOR-N > 60 T: “Questo modello suggerisce uno stile interpersonale senza pretese e schivo. Queste persone sono probabilmente consapevoli di sé nelle interazioni sociali e tendono a essere poco esperte o a proprio agio nell’affermarsi; tentativi precedenti possono aver portato a conflitti che hanno gestito con difficoltà e che preferirebbero evitare di ripetere. Verosimile che gli altri le vedano come delle persone passive, senza pretese, ma alquanto sensibili al giudizio degli altri” (Morey, 1996, p. 238). 

 

 

Bibliografia

Del Corno, F., Lang, M. e Colson, D. (2013). “Il processo diagnostico con i ‘casi difficili’: dal disturbo dell’alleanza al concetto di organizzatore”. In Del Corno F. e M. Lang (a cura di), Elementi di psicologia clinica, 2a ed., 86-94, Milano: Franco Angeli.

Groth-Marnat, G. e Wright, A.J. (2016). Handbook of psychological assessment, 6th ed. Hoboken: Wiley & Sons.

Hopwood, C.J. e Bornstein, R.F. (2014) (a cura di). Multimethod Clinical Assessment. New York: Guilford Press.

Lang, M., Del Corno, F. e Bonalume, L. (2013). Il processo diagnostico. In F. Del Corno e M. Lang (a cura di), Elementi di psicologia clinica, 2a ed., 76-85, Milano: Franco Angeli.

Morey, L.C. (1996), An Interpretive Guide to the Personality Assessment Inventory. Lutz, FL: Psychological Assessment Resources

Morey, L.C. (2003). Essentials of PAI Assessment. Hoboken: Wiley & Sons.

Morey, L. C. (2007). Personality Assessment Inventory: Professional manual (2nd ed.). Lutz, FL: Psychological Assessment Resources. Ed. it. a cura di  A. Zennaro, A. Lis, C. Mazzeschi, M. Fulcheri e S. Di Nuovo (2015), Firenze: Hogrefe Editore.

Orefice, S. (2013). Seminario su "Psicopatologia ed efficacia clinica" organizzato dall'ARP, Associazione per la Ricerca in Psicologia Clinica, Milano, 18 novembre.

Stanghellini, G. e Rossi Monti, M. (2009). Psicologia del patologico. Milano: Raffaello Cortina.

Straus, E.W. (1948). On obsession. A clinical and methodological study. Nervous and Mental Disease Monograph Series, 73.


[1] Il cut-off è due deviazioni standard sopra la media (50 + 20 = 70 T).