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numero 43 - dicembre 2016

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La depressione in età evolutiva e gli strumenti per valutarla

La depressione in età evolutiva e gli strumenti per valutarla

Durante la seconda metà degli anni ’70, alcuni ricercatori decisero di abbracciare un nuovo paradigma di ricerca già diffuso nella psichiatria degli adulti: le diagnosi venivano definite in modo “operazionale”, con criteri specifici, piuttosto che essere lasciate al giudizio clinico, i pazienti dovevano essere valutati con metodologie uniformi e standardizzate e stabilire la validità delle diagnosi psichiatriche rappresentava una priorità della ricerca. Accettare queste innovazioni e modificarle per l’età evolutiva diede l’avvio ad una nuova generazione di studi sulla depressione, dove i bambini erano direttamente intervistati sui loro sintomi, le diagnosi erano definite in base a criteri precisi e validati, le caratteristiche dei piccoli pazienti, il decorso e l’esito dei loro disturbi erano esplorati e monitorati (e potevano finalmente avere inizio studi randomizzati sul loro trattamento clinico).

La terza revisione del DSM (DSM-III, 1980) conteneva il primo riconoscimento ufficiale dell’esistenza di disturbi depressivi diagnosticabili nell’infanzia e sosteneva che il quadro sintomatologico della depressione era essenzialmente lo stesso lungo il corso della vita, portando ad un aumento improvviso e senza precedenti della ricerca sui disturbi dell’umore in età evolutiva. Le revisioni successive, insieme al rapido sviluppo degli strumenti investigativi in neuroscienze (come la risonanza magnetica), hanno continuato ad alimentare la ricerca, sempre più spostata verso studi multidisciplinari, compresi studi genetici e di neurofisiologia. Il DSM-5 (2013) riconosce otto categorie diagnostiche di depressione; tra queste il Disturbo depressivo maggiore, il Disturbo depressivo persistente (Distimia), il Disturbo depressivo dovuto ad altra condizione medica, il Disturbo depressivo con altra specificazione e il Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente.

Il Disturbo depressivo maggiore (DDM) è la forma più diffusa di depressione nei bambini e negli adolescenti (oltre che negli adulti). Per definire la diagnosi, devono essere presenti almeno cinque sintomi-criterio (uno dei quali deve essere umore depresso o perdita di interesse o piacere) su un totale di nove, per almeno due settimane, rappresentando un cambiamento rispetto al funzionamento precedente. I nove sintomi sono i seguenti: umore depresso (o irritabilità nei bambini e negli adolescenti); marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività; significativa perdita o aumento di peso oppure aumento o diminuzione dell’appetito (nei bambini anche incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali); insonnia o ipersonnia; agitazione o rallentamento psicomotorio; faticabilità o mancanza di energia; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati; ridotta capacità di pensare o concentrarsi o indecisione; pensieri ricorrenti di morte; ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o un piano specifico per commettere suicidio. I sintomi devono causare disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Il Disturbo depressivo persistente (Distimia) è un forma di depressione meno grave e meno comune. Nel DSM-5, i criteri per bambini e adolescenti specificano che deve essere presente un umore depresso o irritabile per almeno un anno, durante il quale i minori devono anche presentare due o più dei seguenti sintomi: scarso appetito o iperfagia; insonnia o ipersonnia; scarsa energia o astenia; bassa autostima; difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni; sentimenti di disperazione.

Il Disturbo depressivo dovuto ad altra condizione medica,caratterizzato da un periodo rilevante e persistente di umore depresso o marcata diminuzione di interesse o piacere nelle attività, è la conseguenza fisiopatologica diretta, come evidenziato da anamnesi, esame fisico o dati di laboratorio, di un’altra condizione medica; il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale e causa disagio significativo o compromissione del funzionamento.

La diagnosi di Disturbo depressivo con altra specificazione può essere usata per una varietà di manifestazioni che non rispettino pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei disturbi depressivi; per esempio una depressione breve ricorrente, un episodio depressivo di breve durata (4-13 giorni), un episodio depressivo con sintomatologia insufficiente.

Infine, la diagnosi di Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente rappresenta una novità assoluta del DSM-5, dove è stata introdotta per far fronte alla preoccupazione relativa al rischio di sovradiagnosticare il disturbo bipolare in età evolutiva. Si riferisce al quadro clinico di bambini con irritabilità persistente e frequenti episodi di discontrollo comportamentale estremo; il criterio diagnostico principale comprende, infatti, gravi e ricorrenti scoppi di collera manifestati verbalmente e/o in modo comportamentale, grossolanamente sproporzionati nell’intensità o nella durata alla situazione o alla provocazione; la diagnosi non dovrebbe essere posta prima dei 6 anni di età.

Il DDM in pazienti psichiatrici bambini e adolescenti (dagli 8 ai 17 anni) ha generalmente una durata di circa 9 mesi; un anno e mezzo dopo l’inizio del primo episodio di depressione maggiore, più del 90% dei minori depressi è guarito. In altre parole, dato un periodo di tempo sufficientemente lungo, quasi tutti i bambini e gli adolescenti depressi guariscono dal loro episodio di depressione maggiore (indipendentemente dall’eventuale trattamento ricevuto). I bambini che recuperano, tuttavia, restano ad alto rischio di recidiva e anche di sviluppo di altri disturbi correlati; il 50-60% circa di quelli che guariscono dal loro primo episodio di DDM avranno un altro episodio durante i successivi 5 anni. Gli studi che utilizzano periodi più lunghi di follow-up hanno riportato variazioni nelle percentuali di episodi depressivi in età adulta, ma hanno anche evidenziato che solo una minoranza dei bambini depressi guarisce e sta bene in modo stabile in età adulta.

Il Disturbo depressivo persistente nell’infanzia ha destato molto meno interesse nei ricercatori rispetto al DDM, sebbene sia estremamente cronico: in bambini trattati clinicamente, può persistere in media per più di 3 anni. Nonostante questo, oltre il 90% dei bambini distimici alla fine guarisce dal primo episodio, anche se la distimia rimane un forte predittore di una successiva depressione maggiore.

Il picco di prevalenza (fino a 12 mesi) della depressione infantile sembra collocarsi tra il 2,8% e il 5,9% fino ai 18 anni, in rapporto ad età e sesso. Dai 16 anni d’età, il 9,5% dei giovani presenterà episodi di depressione lungo il corso della vita. Sappiamo anche che il DDM, come per gli adulti, è molto più frequente nei bambini e negli adolescenti rispetto alla distimia, in contesti sia clinici che non clinici, e che la prevalenza della depressione è bassa durante gli anni dell’infanzia ma mostra una crescita drammatica intorno alla media e alla tarda adolescenza. I bambini e le bambine mostrano prevalenze simili di depressione, mentre il numero di preadolescenti maschi depressi tende a superare quello delle preadolescenti femmine. Dalla media alla tarda adolescenza, però, la prevalenza della depressione nelle ragazze aumenta improvvisamente, fino a diventare 2 o 3 volte maggiore rispetto a quella dei ragazzi e rimanere stabile durante l’età adulta.

Viene ancora discusso a quale età i bambini siano in grado di sperimentare e descrivere i sintomi e i sentimenti considerati necessari per la diagnosi di depressione. Alcuni sostengono l’incapacità dei bambini prima dei 7 anni di riferire sentimenti di autosvalutazione e vergogna; altri la tesi secondo cui i pensieri di disperazione e mancanza di speranza non possono presentarsi pienamente depressivi prima dell’adolescenza. Attualmente prevale l’idea che non si debba confondere il percepire e lo sperimentare un sentimento depressivo con il “saper riflettere su” e il “descrivere” un sentimento depressivo. Saper riflettere su e descrivere si riferiscono alla capacità del bambino di accedere ad una esperienza auto-riflessiva di Sé e dei propri stati mentali, ovvero a una capacità di “mentalizzazione affettiva” che matura nel tempo. Ma ciò non significa che, molto più precocemente, il bambino non possa andare incontro a disordini del percorso di autoregolazione degli affetti, che si traducono in dinamiche depressive, a loro volta agite sul piano somatico e comportamentale.

Indipendentemente dagli effetti dell’età sui sintomi della depressione, le fasi di sviluppo dei bambini, comunque, vincolano chiaramente la loro abilità di riferire sul proprio stato mentale e sui sintomi. Per esempio, è altamente improbabile che bambini di 7 anni d’età forniscano descrizioni attendibili e valide sul “sentirsi o meno nervosi o irritabili per almeno un anno e per più giorni” (un criterio della distimia), o sulla misura in cui si sentono “afflitti da sentimenti di indegnità” (un sintomo della depressione maggiore). Ma le fasi di sviluppo danno forma anche all’espressione specifica di alcuni sintomi. Per esempio, mentre l’anedonia in un adulto può manifestarsi direttamente con una perdita del piacere sessuale o con la perdita della capacità di rispondere positivamente al successo in contesti di lavoro, è più probabile che l’anedonia nei bambini si manifesti nella diminuzione dell’attività di gioco o nel lamentarsi di sentirsi annoiati. La diminuzione della capacità di pensare e concentrarsi (come anche la marcata diminuzione dell’interesse per le attività quotidiane) frequentemente si manifesta nei bambini con un improvviso e precipitoso calo nel rendimento scolastico. L’irritabilità spesso diventa rilevante quando il bambino, all’improvviso, inizia a litigare e ad avere conflitti verbali con gli amici, o quando diventa oppositivo a casa. Una bassa autostima nei più giovani si esprime spesso in termini di confronti sociali con altri bambini (piuttosto che restare ad un livello di visioni astratte e analitiche di sé). Nel complesso, è probabile che la fase evolutiva influenzi sia l’esperienza depressiva del bambino, sia la forma particolare (non la presenza-assenza) di alcuni sintomi.

 

Ausili per la diagnosi

Attualmente, per la diagnosi dei disturbi depressivi, sono di ausilio diagnostico interviste e rating scale, da somministrare ai bambini e/o ai genitori e/o agli insegnanti. Possono essere centrate esclusivamente sulla sintomatologia depressiva o spaziare su diversi ambito della psicopatologia.

Le interviste possono essere non strutturate, semistrutturate, strutturate. Nella pratica, le più diffuse sono le semistrutturate, basate sul giudizio dell’intervistatore; negli studi epidemiologici, invece, si preferiscono le strutturate, per la loro maggiore maneggevolezza. Le interviste più utilizzate, per la maggior parte dei disturbi psichiatri nell’infanzia e nell’adolescenza, sono:

  • Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia (K-SADS, Puig-Antich e Chambers, 1978); è l’intervista più utilizzata per la fascia d’età 6-18 anni; permette di porre una diagnosi secondo il DSM-IV, la valutazione dei disturbi attuali e pregressi e il dimensionamento della gravità dei sintomi; richiede training ed esperienza;
  • Diagnostic Interview for Children and Adolescents (DICA, Herjanic e Reich 1982); la versione più recente, semistrutturata, comprende interviste separate per bambini 6-12, adolescenti e genitori; permette di porre diagnosi secondo il DSM-III-R e il DSM-IV e fornisce informazioni su esordio, durata e gravità;
  • Diagnostic Interview Schedule for Children (DISC; Shaffer et al 1999); la diagnosi segue i criteri del DSM-IV; è altamente strutturata, prevede istruzioni specifiche e comprende versioni per genitori, paziente ed insegnanti;
  • Child and Adolescent Psychiatric Assessment (CAPA, Angold et al 1995); è un’intervista semistrutturata per la fascia 9-17 anni; valuta, nelle ultime due settimane, i sintomi specifici, la compromissione funzionale in diverse aree (famiglia, scuola, tempo libero), i life event e i traumi; le versioni per pazienti e genitori consentono una diagnosi secondo il DSM-IV e l’ICD-10.

Le scale di valutazione (rating scale) specifiche per la depressione, oltre a rappresentare un ausilio per la diagnosi, possono essere usare come strumenti di screening e nel follow-up per monitorare l’andamento clinico e l’efficacia del trattamento. Si dividono in: scale di autovalutazione, che il soggetto stesso compila descrivendo i propri sintomi; scale di eterovalutazione, compilate da genitori, insegnanti o clinici sulla base delle loro osservazioni e raccolte di informazioni; scale somministrate dai clinici, corrispondenti a interviste semistrutturate focalizzate su un area circoscritta, che però non forniscono informazioni su durata e criteri di esclusione; scale per i pazienti e per i genitori, cioè questionari autosomministrati, focalizzati sui sintomi e i comportamenti attuali e quindi non sufficienti per la diagnosi. La procedura ideale dovrebbe basarsi su informazioni da auto ed eterovalutazioni, particolarmente utili nello screening, prevedendo un approfondimento successivo in caso di punteggi elevati. Tra quelle specifiche per i disturbi depressivi dell’età evolutiva, le più utilizzate sono:

  • Children Depression Inventory(CDI, Kovacs 1992); è la scala di autovalutazione più utilizzata; valuta la severità dei sintomi depressivi durante le precedenti 2 settimane in bambini/ragazzi da 7 a 17 anni di età; esplora diversi sintomi, con maggiore enfasi su quelli cognitivi; validata in Italia nel 1988 da Camuffo, Cerutti, Lucarelli, Mayer. La versione 2015 (CDI-2) è in corso di validazione per l’Italia e comprende quattro diverse forme: una estesa ed una breve per i bambini/ragazzi, una per i genitori, una per gli insegnanti;
  • Mood and Feeling Questionnaire (MFQ, Angold et al 1995); rileva i sintomi depressivi nelle due settimane precedenti nella fascia 8-18 anni, secondo i criteri del DSM-III-R; sono disponibili una versione breve e una versione lunga.
  • Children’s Deporession Rating Scale-Revised(CDRS-R, Poznanski e Mokros 1979); scala di eterovalutazione basata sulla scala di Hamilton; valuta la severità dei sintomi depressivi nella fascia 6-12 anni, ma è utilizzabile anche negli adolescenti; la versione rivista (1999) valuta sintomi cognitivi, somatici, affettivi e psicomotori e permette di riportare le risposte dell’intervistato e le osservazioni dell’intervistatore; è utilizzata soprattutto negli studi di valutazione dell’efficacia dei trattamenti.

Nella pratica clinica, sono utilizzati anche la Child Behavior Checlist (CBCL), la Teacher’s Report Form (TRF) e la Youth Self Report (YSR) (Achenbach e Rescorla 2001); le prime due esplorano le fasce 1-5 e 5-18 anni, la terza la fascia 11-18; la CBCL è uno strumento utile per un pronto screening psichiatrico, ma ha una bassa specificità per le singole patologie, tra cui la depressione.

In conclusione, le principali forme cliniche di depressione rappresentano disturbi comuni in età evolutiva, determinano una significativa compromissione funzionale, influiscono sullo sviluppo (sociale, cognitivo ed emotivo), frequentemente persistono in età adulta e rappresentano un precursore di altri disturbi psicopatologici da adulti, con un aumentato rischio di suicidio e/o di evoluzione verso il disturbo bipolare. I rischi che derivano da un mancato loro riconoscimento e/o da un insufficiente trattamento devono essere considerati e possono essere ridotti con l’uso appropriato degli strumenti di valutazione oggi disponibili.

 

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